Lo scarafaggio
Dino Buzzati
Rincasato tardi, schiacciai uno scarafaggio che in corridoio
mi fuggiva tra i piedi (resto' la' nero sulla piastrella) poi entrai nella
camera. Lei dormiva. Accanto mi coricai, spensi la luce, dalla finestra
aerta vedevo un pezzo di muro e di cielo. Era caldo, non riuscivo a dormire,
vecchie storie rinascevano dentro di me, dubbi anche, generica sfiducia nel
domani. Lei diede un piccolo lamento. "Che cos'hai?" chiesi. Lei apri' un
occhio grande che non mi vedeva, mormoro': "Ho paura". "Paura di che cosa?"
chiesi. "Ho paura di morire." "Paura di morire? E perche'?" Disse:"Ho
sognato..." Si strinse un poco vicino. "Ma che cosa hai sognato?" "Ho
sognato ch'ero in campagna, ero seduta sul bordo di un fiume e ho sentito
delle grida lontane... e io dovevo morire." "Sulla
riva di un fiume?" "Si" disse "sentivo le rane...cra cra facevano." "E che
ora era?" "Era sera, e ho sentito gridare." "Be', dormi, adesso sono quasi
le due."
"Le due?" ma non riusciva a capire, il sonno l'aveva gia' ripresa.
Spensi la luce e udii che qualcuno rimestava giu' in cortile. Poi sali' la
voce di un cane, acuta e lunga; sembrava che si lamentasse. Sali' in alto,
passando dinanzi alla finestra, si perse nella notte calda. Poi si apri' una
persiana (o si chiuse?). Lontano, lontanissimo, ma forse mi sbagliavo, un
bambino si mise a piangere. Poi ancora l'ululato del cane, lungo piu' di
prima. Io non riuscivo a dormire.
Delle voci d'uomo vennero da qualche altra finestra. Erano sommesse, come
borbottate in dormiveglia. Cip, cip, zitevitt, udii da un balcone sotto, e
qualche sbattimento d'ali. "Florio!" si udi' chiamare all'improvviso, doveva
essere due o tre case piu' in la'. "Florio!" pareva una donna, donna
angosciata, che avesse smarrito il figlio.
Ma perche' il canarino di sotto si era svegliato? Che cosa c'era?Con un
cigolio lamentoso, quasi la spingesse adagio adagio uno che non voleva farsi
sentire, una porta si apri' in qualche parte della casa. Quanta gente
sveglia a quest'ora.
"Ho paura ho paura" si lamento' lei cercandomi con un braccio. "Oh Maria" le
chiesi " che cos' hai?" Rispose con una voce sottile: "Ho paura di morire".
"Hai sognato ancora?" lei fece un piccolo si' con la testa. "Ancora quelle
grida?" Fece segno di si'. "E tu dovevi morire?" Si' si', faceva, cercando
di guardarmi, le palpebre appiccicate dal sonno.
C'e' qualcosa, pensai: lei sogna, il cane urla, il canarino si e' svegliato,
gente e' alzata e parla, lei sogna la morte, come se tutti avessero sentito
una cosa, una presenza. Oh, il sonno che non mi veniva, e le stelle
passavano. Udii distintamente in cortile il rumore di un fiammifero acceso.
Perche' uno si metteva a fumare alle tre di notte? Allora per sete mi alzai
e uscii di camera a prendere acqua. Accesa la triste lampadina del
corridoio, intravidi la macchia nera sulla piastrella e mi fermai,
impaurito. Guardai: la macchia nera si muoveva. O meglio se ne muoveva un
pezzetto (lei sogna di morire, ulula il cane,
il canarino si sveglia, gente si e' alzata, una mamma chiama il figlio, le
porte cigolano, uno si mette a fumare e, forse, il pianto di un bambino).
Vidi sul pavimento la bestiola nera spiaccicata muovere una zampina. Era
quella destra di mezzo. Tutto il resto era immobile, una macchia di
inchiostro lasciata
cadere dalla morte. Ma la gambina remava flebilmente come per risalire
qualche cosa, il fiume delle tenebre forse. Sperava ancora?
Per due ore e mezzo della notte -mi venne un brivido- l'immondo insetto
appiccicato alla piastrella dalle sue stesse mucillagini viscerali, per due
ore e mezzo aveva continuato a morire, e non era finita ancora.
Meravigliosamente
continuava a morire, trasmettendo con l'ultima zampina un suo messaggio. Ma
chi lo poteva raccogliere alle tre di notte nel buio del corridoio di una
pensione
sconosciuta? Due ore e mezzo, pensai, continuamente su e giu', l'ultima
porzione di vita spinta dentro la superstite gambina per invocare giustizia.
Il pianto di un bambino -avevo letto un giorno- basta ad avvelenare il
mondo. In cuor suo Dio onnipotente vorrebbe che certe cose non succedessero,
ma impedirlo non puo'
perche' e' stato da lui stesso deciso. Pero' un ombra giace allora su di noi.
Schiacciai con la pantofola l'insetto e fregando sul pavimento lo spappolai
in una lunga striscia grigia.
Allora finalmente il cane tacque, lei nel sonno si quieto' e quasi sembrava
sorridesse, le voci si spensero , tacque la madre, nessun sintomo piu' di
irrequietezza del canarino, la notte ricominciava a passare sulla casa
stanca, in altri punti del mondo la morte si era spostata a gonfiare la sua
inquietudine.
give me a break page