Fra i tentativi di risvegliare la sopita astronomia bolognese della prima
metà dell'Ottocento è situato l'acquisto di questo circolo meridiano,
ordinato nel 1846 dall'allora direttore della Specola, Ignazio Calandrelli.
Questi lasciò Bologna per Roma nel 1848, ma tre anni dopo ritornò
temporaneamente per assolvere l'incarico di montare lo strumento, insieme al
suo costruttore Ertel. Si legge, infatti, nella Cronaca di Bottigari del 1851
(vol. II, p. 244) che "Il celebre artista Signor Ertel di Monaco è in Bologna
da qualche tempo: ora è occupato a collocare il suo gran circolo meridiano
nell'osservatorio della nostra Università in quelle camere che sono state
espressamente costruite con disegni e sotto la direzione del nostro
architetto Filippo Antolini."
Fra i manoscritti presenti nell'Archivio del Dipartimento di Astronomia si
possono leggere, in un fascicolo titolato Uso del Circolo meridiano,
autografo dello stesso Calandrelli, le istruzioni necessarie alla sua messa a
punto e all'uso.
Per ospitare il circolo meridiano fu appositamente edificata una stanza,
accanto alla grande sala della torretta. Nell'Archivio del Dipartimento di
Astronomia si trovano il dettagliato preventivo di spesa e i disegni per la
costruzione di questa camera, a firma dell'ingegner architetto Carlo
Parmeggiani e datati 5 maggio 1848. Furono incastrati nel pavimento quattro
pilastri di granito [Inv. MdS-60 a,b,c,d] per sostenere l'asse del telescopio
e furono fissate nel pavimento le rotaie (ora scomparse) necessarie a portare
il carrello in ferro battuto [Inv. MdS-57] per l'inversione dello strumento.
Tale operazione si rendeva necessaria per stimare alcuni degli errori di
misura, mediante osservazioni eseguite prima e dopo l'inversione di 180o.
Disponeva di due micrometri e quattro oculari celesti, nonché di una livella
a bolla [Inv. MdS-59], con relativo supporto a balestra [Inv. MdS-58], per
verificare l'orizzontalità dell'asse.
Nonostante strumenti di questo tipo necessitassero della massima stabilità,
venne posto a circa 37 metri di altezza dal suolo, su di un lato della torre,
il che ne rese difficile e poco accurato l'utilizzo, tanto che Lorenzo
Respighi finirà per usarlo esclusivamente come strumento zenitale, mediante
riflessione in una bacinella di mercurio posta nella stanza sottostante.
Su uno dei bracci si legge la sigla Ertel & Sohn, Münich. T. Ertel nel 1814
si era messo in società con Reichenbach - appena separatosi da Utzschneider,
Liebherr e Fraunhofer - divenendo in breve il suo successore e il fedele
prosecutore della sua tecnica costruttiva. Firmarono insieme molti strumenti
con la sigla Reichenbach und Ertel, ma, dopo il ritiro di Reichenbach nel
1820, Ertel continuò da solo, finché, nel 1834, venne raggiunto dal figlio
Georg, con cui istituì il marchio Ertel & Sohn, che sarebbe durato fino al
1890. Ertel realizzò, fra l'altro i circoli meridiani per gli osservatori di
Christiania, Glasgow e Varsavia. Circa della stessa epoca è il circolo
meridiano costruito per l'Istituto Idrografico della Marina di Genova, poi
trasferito all'Osservatorio di Brera nel 1924 (vedi Miotto et al., op. cit.),
mentre anteriori sono quelli di Roma (Campidoglio) e di Catania (già al
Collegio Romano a Roma). Nel primo volume delle Astronomical observations
made during the year 1845 at the National Observatory, pubblicate
dall'Osservatorio di Washington (ora US Naval Observatory), è
dettagliatamente descritto uno strumento del tutto simile e vi si afferma
che, a causa della sospetta presenza di imperfezioni strumentali dovute alle
divisioni, a flessioni o ad altre cause non ben accertate, le centinaia di
osservazioni effettuate con lo strumento di Ertel non vennero pubblicate.
Nel 1988 è stata ripristinata la stanza che lo alloggiava, modificata a metà di questo secolo da Guido Horn-d'Arturo, per realizzarvi il telescopio a tasselli [scheda 50]. Alla parete a sud-est vi è l'apposito armadietto in legno fatto costruire per ospitare gli accessori del circolo meridiano.
Atti della Pontificia Accademia dei Lincei, Tomo V, anno V, 1851-52, pp. 162
e segg.
J.A. Bennett (1987), pp. 155, 160.
H.C. King (1955), p.242.
E. Miotto, G. Tagliaferri, P. Tucci (1990), pp. 81 e 100.
M. Rajna, (1906).
J.A. Repsold (1914), p. 16.