L'effetto fotoelettrico:
dalla teoria ondulatoria al quanto di luce
Annibale D'Ercole
Osservatorio Astronomico - Bologna

Un campo elettrico oscillante con frequenza si propaga nello spazio a velocità c = 300.000 km al secondo.  Queste oscillazioni possono essere descritte mediante la formula E = Eocos (kx - t), dove E rappresenta il campo elettrico, k e sono due costanti, x e t rappresentano lo spazio e il tempo.
Questa formula indica che l’oscillazione si propaga ad x crescenti con velocità c=/k.
Per rendercene conto fissiamo ad esempio l’attenzione sulla cresta dell’onda, ovvero sul valore massimo Eo raggiunto dal campo elettrico durante l’oscillazione. Tale valore è ottenuto per ogni valore di x e t per cui si ha kx-t=0; questa relazione può essere riscritta come x=(/k)t  ed indica appunto che, all’aumentare di t, la posizione della cresta si muove verso x crescenti con velocità /k.

Supponiamo ora di "fotografare" l’onda ad un determinato istante t' ; l’onda è descritta da una sinusoide lungo x, e la distanza tra due massimi contigui posti in due punti x1 e x2   definiscono la lunghezza d’onda  =x2-x1.
Per quanto detto più sopra, deve essere kx2 - t' = kx1 +2 - t' = 0, perché, com’è noto, il coseno è una funzione periodica di 2 radianti, ovvero assume lo stesso valore per valori dell’argomento che differiscono tra loro per multipli interi di 2. Si ottiene pertanto k=2 / .
Supponiamo ora di essere fermi in un determinato punto x' e di misurare il periodo T dell’onda, ovvero il tempo che intercorre tra il ripetersi di due massimi successivi che si verificano agli istanti t1 e t2. Con un ragionamento analogo al precedente si ottiene
= 2 / T = 2 , dove = 1 / T è la frequenza dell’onda.
Da questi risultati si ricava la relazione tra frequenza, lunghezza d’onda e velocità:

  = c.

Il campo elettrico, com’è noto, è una forza in grado di accelerare particelle cariche comunicando loro energia. Dunque un’onda elettromagnetica trasporta energia che viene trasferita a particelle cariche, ad esempio elettroni, che si trovino lungo la sua traiettoria.
Si può dimostrare che l’intensità dell’onda - ovvero il flusso di energia che si riversa ogni secondo su un centimetro quadrato di superficie di un corpo investito dall’onda - è pari a   F = Eo2 c / 8.
Come si vede, questo flusso dipende dall’ampiezza, ma non dalla frequenza dell’onda; una circostanza, questa, di importanza cruciale per le considerazioni che stiamo per fare.

Gli elettroni nei metalli si prestano particolarmente ad interagire con onde elettromagnetiche di opportuna energia. Infatti, nei metalli gli atomi sono "impacchettati" in maniera tale che le loro orbite elettroniche si toccano e si confondono. Pertanto un elettrone non è legato ad un particolare atomo, ma è libero di scorrere da un atomo a l’altro: questo spiega l’alta conducibilità elettrica dei metalli.
Naturalmente, nonostante la loro elevata mobilità, gli elettroni sono comunque vincolati a rimanere all’interno dei metalli a causa dell’azione attrattiva combinata dei nuclei atomici.  Per riuscire ad estrarli è necessario comunicare loro un’energia superiore all’energia U , detta potenziale di estrazione, che rappresenta l’energia di legame tra nuclei ed elettroni e il cui valore varia da un materiale all’altro.
Se dunque investiamo un metallo con un’onda elettromagnetica, ci aspettiamo che gli elettroni che accumulano ciascuno un’energia superiore ad U vengano estratti con un’energia cinetica K=0.5mv2, dove v è la velocità dell’elettrone ed m la sua massa; questa energia cinetica è pari alla differenza tra l’energia assorbita dall’onda ed il potenziale U.
Questo fenomeno va sotto il nome di effetto fotoelettrico e si verifica effettivamente in natura. Tuttavia le sue modalità sono diverse da quelle previste dalla teoria ondulatoria della luce. Infatti si osserva che se la frequenza è inferiore ad un valore o, detto di soglia e dipendente dal tipo di materiale, non si ha effetto fotoelettrico, per quanto intensa sia la radiazione impiegata. Inoltre, per >o, il numero degli elettroni estratti rimane costante, ma la loro singola energia cinetica aumenta all’aumentare della frequenza.
Questa dipendenza dalla frequenza è incomprensibile nell’ambito della teoria ondulatoria della luce perché, come abbiamo detto, il flusso di energia elettromagnetica non dipende dalla frequenza dell’onda incidente.

Nell’interpretazione quantistica la radiazione non è composta da onde ma da "particelle" di energia dette fotoni.  Ogni fotone viaggia alla velocità della luce e trasporta un’energia  Ev=h, dove h è la costante di Plank e la frequenza della radiazione.
In questo caso il flusso di energia trasportato da un raggio luminoso è dato da:
F = Nf h c,   dove Nf  è la densità dei fotoni che compongono la radiazione.
Se illuminiamo un metallo con una radiazione di frequenza opportuna - ovvero tale per cui Ev > U - ogni fotone che scalza un elettrone gli fornisce un’energia K=Ev-U.
Dalla condizione Ev = U  si ricava il valore della frequenza di soglia o= U / h.
Aumentare l’intensità della radiazione equivale ad aumentare Nf , ma non l’energia dei singoli fotoni. Di conseguenza si avrà un aumento del flusso di elettroni, ma non della loro singola energia; un risultato in perfetto accordo con i dati sperimentali.
Si noti infine che dalla misura della velocità degli elettroni e dalla conoscenza del potenziale di estrazione del materiale usato è possibile ottenere una misura della costante di Plank: h = (K+U) / .
Il valore così ottenuto è in piena sintonia con quello derivato per altra via, confermando la validità della descrizione quantistica.

 


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