La materia oscura nelle galassie a spirale
Annibale D'Ercole
Osservatorio Astronomico - Bologna

Le galassie a spirale sono tipicamente composte da un nucleo centrale (il bulge) e da un disco più sottile, su cui stelle e nubi di idrogeno freddo (circa -200° C) orbitano attorno al centro. Gran parte della massa sembra dunque collocata nel bulge e ci si aspetta che le stelle sul disco si muovano attorno ad esso come i pianeti si muovono attorno al Sole. Questi ultimi, com’è noto, hanno una velocità di rivoluzione tanto minore, quanto maggiore è la loro distanza dal nostro astro. Questo comportamento è strettamente legato all’andamento della forza di gravità che decresce come l’inverso del quadrato della distanza. Perché un pianeta rimanga stabilmente sulla sua orbita senza allontanarsi indefinitamente o precipitare sul Sole, è necessario che la forza di gravità esercitata dal Sole sia equilibrata dalla forza centrifuga, derivante dal moto circolare del pianeta (qui trascuriamo gli schiacciamenti, in genere piccoli, delle orbite planetarie che ne fanno delle ellissi piuttosto che dei cerchi). Dal momento che la forza centrifuga è tanto maggiore, quanto maggiore è la velocità orbitale, i pianeti più lontani devono muoversi più lentamente per equilibrare la gravità più debole a quelle distanze. Questo andamento decrescente della velocità con la distanza dal centro viene detto kepleriano, dall’astronomo Johannes Kepler (1571-1630) che per primo descrisse le proprietà orbitali dei pianeti. (Fig. 1)

 

 

Fig. 1. La galassia ngc 4565 è una tipica galassia a spirale vista di taglio. Sono particolarmente evidenti il bulge e il disco [Crediti: B. Hugo e L. Gaul, A. Block (kpno visitor program), noao, aura, nsf]

 

Torniamo ora alle galassie a spirale, nella cui categoria ricade, com’è noto, anche la Via Lattea. È possibile misurare la velocità delle stelle tramite l’effetto Doppler che stabilisce una connessione tra il moto di una sorgente di radiazione e la misurazione della lunghezza d’onda di quest’ultima: se la sorgente si avvicina, la lunghezza d’onda appare minore, mentre il contrario avviene in caso di allontanamento. L’entità della variazione cresce al crescere della velocità ed è dunque possibile risalire a quest’ultima tramite misure spettroscopiche (ovvero l’analisi delle lunghezze d’onda) della radiazione. Evidentemente, questo metodo funziona soltanto per velocità radiali (ovvero lungo la linea di vista) ed è per questo motivo che la rotazione dei dischi delle galassie è particolarmente facile per le galassie viste di taglio, mentre per quelle viste di faccia la rotazione non si può misurare: in quest’ultimo caso, infatti, la linea di vista coincide con l’asse di rotazione delle galassie e le stelle ruotano attorno alla linea di vista e non hanno alcuna componente di velocità orbitale lungo di essa. (Fig. 2)

 

 

Fig. 2. Curva di rotazione della nostra Galassia.

 

Se le stelle, sul piano galattico, si comportassero come i pianeti nel Sistema solare, la loro velocità orbitale, come abbiamo detto, avrebbe un andamento kepleriano, con gli astri che si muovono tanto più lentamente quanto maggiore è la loro distanza dal bulge. Le osservazioni danno però un risultato sorprendente. La curva di rotazione delle galassie (ovvero l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio orbitale) non decresce all’aumentare della distanza, ma rimane costante. Questo implica l’azione di una gravità superiore a quella dovuta al solo bulge, altrimenti le stelle distanti si allontanerebbero dalla galassia a causa dell’eccessiva forza centrifuga. Affinché la curva di rotazione rimanga costante, è necessario ipotizzare che la galassia sia immersa all’interno di un alone sferico la cui densità decresce con l’inverso del quadrato del raggio. Per verificare l’estensione di questo alone invisibile, gli astronomi misurano, tramite l’emissione radio alla lunghezza d’onda di 21 cm, caratteristica dell’idrogeno neutro, la curva di rotazione delle nubi di idrogeno che si collocano fino a distanze maggiori delle stelle (~ 50.000 anni luce), circa a 2-3 raggi ottici. Nel caso di galassie dotate di sistemi stellari in orbita attorno ad esse (come le Nubi di Magellano per la nostra Galassia), è possibile sondare gli effetti gravitazionali dell’alone a distanze ancora maggiori. Nel caso della Via Lattea, i satelliti più distanti mostrano che l’alone si estende almeno fino a 600.000 anni luce e non si può escludere un raggio maggiore. (Fig. 3)

 

 

Fig. 3. Schema di una galassia a spirale, immersa in un alone di materia oscura.

 

In conclusione, dallo studio delle curve di rotazione delle galassie a spirale risulta che la massa visibile composta dalle stelle è solo un decimo della massa totale, la cui gravità è necessaria per tenere insieme le galassie stesse. La maggior parte della massa è distribuita in un grande alone che avvolge le galassie e, non emettendo luce, non può essere osservata direttamente, ma solo tramite i suoi effetti gravitazionali sulla materia luminosa. Sarebbe naturale ipotizzare che l’alone scuro sia composto da stelle “morte” (buchi neri, stelle di neutroni, nane bianche) o da oggetti delle dimensioni dei pianeti (che non sono stati in grado di innescare le reazioni nucleari) che non emettono luce e risultano dunque invisibili. Tuttavia, considerazioni cosmologiche (in cui non ci addentriamo) indicano che questa materia oscura debba essere composta essenzialmente da particelle “esotiche”, ovvero particelle elementari ancora non osservate in laboratorio, ma la cui esistenza è prevista dalle attuali teorie sulla struttura della materia.

 


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