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F = ma oppure m = F/a ?
Annibale D’Ercole

Nonostante tutta la sua popolarità, la seconda legge della dinamica di Newton, F = ma, possiede un significato assai meno immediato di quanto si sia portati a credere e nasconde insidie concettuali non indifferenti che affiorano non appena la si indaghi con un minimo di cautela. Il problema risiede nel fatto che la formula viene usata (più o meno consciamente) sia per definire la forza F agente su un corpo come prodotto della massa m del corpo per la sua accelerazione a dovuta alla forza stessa, sia per definire la massa come il rapporto tra forza e accelerazione. Questo naturalmente è inconsistente, perché non si possono definire due concetti tramite un’unica relazione.

Il seguente semplice esperimento chiarirà in concreto il nostro problema. Com’è noto, la forza di tensione di una molla è data dalla formula F = -kx, dove k è la costante della molla (che regola la sua “durezza”, ovvero la resistenza opposta dalla molla a una estensione o compressione) e x è l’entità dell’allungamento (o della compressione) della molla; il segno meno nella formula tiene conto del fatto che la forza è diretta nel verso opposto a quello dello spostamento (spinge in caso di compressione e tira a seguito di un allungamento). A questo punto possiamo pensare di definire la massa di una pallina nel modo seguente: poniamo la molla su un piano orizzontale (in modo da non far intervenire la gravità) e fissiamone un’estremità. Agganciamo poi la pallina all’altra estremità. Allunghiamo ora un poco la molla lungo il piano e lasciamo andare (la massa della molla è assunta trascurabile rispetto a quella della pallina e gli attriti vengono assunti nulli). Mediante ripetute misure delle diverse posizioni x raggiunte dalla pallina, durante il suo moto indotto dalla molla, e dei tempi ai quali queste posizioni vengono raggiunte, otteniamo una stima dell’accelerazione a in corrispondenza di una certa posizione x, e in base all’equazione di Newton possiamo finalmente scrivere m = -kx/a.

Sembrerebbe non esserci nessun problema e invece, a ben guardare, il problema c’è: infatti, una volta costruita una molla, l’unico modo per conoscerne la costante è ripetere l’esperimento appena descritto con una pallina di massa nota e scrivere k = ma/x. Siamo dunque all’interno di un circolo vizioso in cui è necessario conoscere la forza per poter definire la massa, e viceversa. Per poterne uscire dobbiamo approfondire sia il concetto di massa che quello di forza.

Riassumiamo allora lo status logico della seconda legge di Newton. L’esperienza mostra che il prodotto tra la massa m di un corpo campione e la sua accelerazione a – vale a dire ma – è una funzione Z della configurazione fisica in cui si trova il corpo. Per configurazione si intende l’insieme delle masse gravitazionali, delle cariche elettriche, dei momenti magnetici e così via. Indicando per brevità questa configurazione con il simbolo X, allora vale ma = Z(X). La massa m e l’accelerazione a prese separatamente non sono funzioni di X. Se ora sostituiamo il nostro corpo campione di massa m con un altro corpo di massa m', osserviamo sperimentalmente che quest’ultimo si muove con un’accelerazione a' che soddisfa la relazione ma = m'a'. La costanza di questo prodotto al variare dei diversi corpi utilizzati ci suggerisce di dare a questo prodotto stesso un suo nome: lo chiamiamo “forza”. Una simile definizione nominale è ovviamente una tautologia, come tutte le definizioni nominali.

Pertanto, secondo la moderna critica, le forze sono prive di realtà fisica, così come gli epicicli dell’antica astronomia che, pur permettendo una corretta descrizione del moto dei pianeti, non rappresentavano principi veri. La fisica non può comprendere le cause reali del moto, ma solo descrivere le relazioni tra eventi e ricercarne la regolarità. La forza rappresenta solo un nome come un altro da dare al prodotto della massa per l’accelerazione, una volta che della massa si dia una definizione univoca e non ambigua. Newton ritenne di essere riuscito in questo intento definendo la massa di un corpo come la quantità di materia in esso contenuta. Come abbiamo visto nella sezione precedente, questa definizione, benché a prima vista appaia ragionevole, è in realtà insoddisfacente perché non si applica alle particelle elementari, a meno di non dare una chiara definizione di materia, un compito decisamente troppo arduo.

Un passo decisivo nella soluzione del nostro problema fu compiuto da Mach in un articolo di cinque pagine, rifiutato in prima istanza per la pubblicazione. In questo articolo Mach fa riferimento alla terza legge della dinamica di Newton (il principio di azione e reazione) secondo cui i corpi inducono gli uni negli altri accelerazioni opposte lungo la linea che li congiunge. Adottando il principio di azione e reazione come seconda relazione logica da utilizzare assieme all’equazione F = ma, Mach è in grado di definire la massa di un corpo relativamente a un corpo campione di massa unitaria scelto a piacere.

È importante sottolineare che la definizione di massa operata da Mach non è un perfezionamento di quella di Newton, che mirava a una determinazione assoluta del valore della massa di un oggetto. Secondo il fisico austriaco, infatti, non ha senso parlare del valore assoluto della massa di un singolo corpo, ad esempio m1, ma solo del suo valore relativamente alla massa di un secondo oggetto, m2, che può essere preso come unità standard. Questa definizione è suscettibile di verifica sperimentale. Consideriamo due corpi che interagiscono tra loro tramite una qualsivoglia forza (elettrica, magnetica, gravitazionale). Il corpo K1 acquisisce un’accelerazione a12 dovuto al corpo K2, e quest’ultimo è sottoposto a un’accelerazione in direzione opposta a21 dovuta al corpo K1. Per la terza legge di Newton (il principio di azione e reazione) le forze che i due corpi esercitano l’uno sull’altro sono uguali e contrarie, possiamo scrivere

 

F12 = -F21                         (1)

 

m1a12 = -m2a21,        (2)

 

ovvero

 

m1/m2=-a21/a12.        (3)

 

Dunque, il rapporto delle due masse è definito tramite il rapporto delle loro accelerazioni, che sono perfettamente definite e misurabili. Notiamo che il segno meno nell’Eq. (3) non significa naturalmente che una delle masse è negativa. Dal momento che le due accelerazioni sono opposte, anche il loro segno è opposto e il loro rapporto è negativo; il segno meno nell’equazione rende positivo il termine a destra dell’uguaglianza.

Come sottolineato più sopra, l’Eq. (3) non dà una definizione assoluta di massa, ma solo relativa. Tutte le masse hanno dunque un valore relativo a un oggetto, scelto come standard, dalla massa convenzionale di 1 kg e conservato in Francia, nel Bureau International des Poids et Mesures.


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