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Il principio di Mach
Annibale D’Ercole

In un fascicolo precedente («Giornale di Astronomia», n. 3, 2009) ci siamo occupati del concetto di massa e di inerzia dei corpi. Abbiamo visto che l’inerzia rappresenta la tendenza dei corpi a mantenere il proprio stato di moto uniforme o di quiete. Se vogliamo aumentare o diminuire la velocità di un corpo, dobbiamo applicare una forza per vincere la resistenza opposta dal corpo stesso. Questa resistenza – l’inerzia appunto – è tanto maggiore quanto maggiore è la massa dell’oggetto (com’è facile verificare una volta che si provi a spingere un camion piuttosto che un motorino).

Fu Ernest Mach (1838-1916) a mettere in luce che, contrariamente a quanto asserito da Newton, non è possibile operare misure assolute di massa, ma possiamo solo determinare quanto la massa di un oggetto sia maggiore o minore di quella di un altro corpo scelto come riferimento.

Ma le riflessioni sulla natura dell’inerzia portarono Mach a conclusioni anche più rivoluzionarie riguardo alla connessione tra inerzia, spazio e movimento. Consideriamo due astronavi che si avvicinano a velocità costante. Gli occupanti di ciascuna di esse possono, a buon diritto, affermare che sia la propria astronave ad essere ferma e che sia l’altra a muoversi verso di loro. In effetti, non c’è modo di stabilire quale delle due sia “veramente” in moto; se l’equipaggio di ciascuna astronave oscurasse i finestrini e non potesse più raffrontare la propria posizione con alcun oggetto esterno, non avrebbe nessuna possibilità di definire la propria velocità (costante), in quanto quest’ultima non influenza minimamente la vita (e gli eventuali esperimenti di fisica) a bordo delle navi spaziali.

Le cose però cambiano se le due astronavi si avvicinano sempre più velocemente, se cioè il moto è accelerato (il discorso vale anche per il moto ritardato). È esperienza comune che, trovandoci seduti all’interno di una automobile in accelerazione, sentiamo una “forza misteriosa” schiacciarci contro lo schienale; questa stessa forza scompare non appena l’automobile raggiunge una velocità costante. Tornando alle nostre astronavi in avvicinamento accelerato, risulta allora naturale individuare come realmente in moto quella in cui è presente la “forza misteriosa”, che invece è assente nella navicella ferma. In verità, gli occupanti dell’astronave in accelerazione sono in grado di percepire il loro moto anche oscurando i finestrini e, dunque, in assenza di ogni raffronto con oggetti esterni.

Da quanto appena detto siamo portati a pensare che sia possibile definire un moto “assoluto”, ovvero un moto misurabile indipendentemente da riferimenti esterni e relativo a uno spazio “assoluto”. Questa fu appunto la conclusione di Newton che, tuttavia, venne fortemente contestata da Berkeley prima e da Mach poi. Secondo questi due pensatori, dal momento che lo spazio in sé non è osservabile, la posizione e il moto possono essere misurati solo in relazione ad altri corpi. Dunque, in un universo completamente vuoto, non avrebbe senso parlare di un’astronave in accelerazione perché non si capisce rispetto a cosa dovrebbe accelerare e, quindi, anche la “forza misteriosa” sarebbe assente. Di conseguenza, pure l’inerzia di un corpo verrebbe meno. Per comprendere quest’ultima affermazione, è necessario approfondire la natura della “forza misteriosa” cui abbiamo fatto riferimento fin’ora.

Quando acceleriamo con la nostra automobile, lo schienale della poltroncina ci spinge in avanti, ma l’inerzia del nostro corpo cerca di resistere; il risultato è la sensazione di schiacciamento contro lo schienale, ossia l’insorgere della “forza misteriosa”. Naturalmente, vale anche il caso contrario: a seguito di un rapido rallentamento dell’automobile sulla quale viaggiamo il nostro corpo tende a rimanere in moto per via della sua inerzia e, come risultato, percepiamo una “forza misteriosa” che ci spinge in avanti. Queste forze misteriose, che compaiono ogni volta che ci troviamo in un sistema di riferimento accelerato, sono dette “forze inerziali” proprio perché sono conseguenza delle proprietà inerziali dei corpi. Dal momento che sembrano generarsi dal nulla, esse vengono anche indicate come forze “fittizie” o “apparenti”.

Riprendendo il ragionamento di Mach, risulta ora chiaro che, se non è possibile definire l’accelerazione di un oggetto in un universo altrimenti vuoto, nessuna forza inerziale può manifestarsi e dunque, in definitiva, non ha senso parlare dell’inerzia dell’oggetto. D’altra parte, nel mondo reale gli oggetti sono dotati di massa e quindi di inerzia. Evidentemente, secondo Mach, questo avviene perché è possibile relazionare il moto di questi oggetti con dei corpi di riferimento. Per capire quali siano questi corpi, consideriamo il seguente semplice esempio. Immaginiamo di stare in piedi, fermi in un prato in una notte nuvolosa. Le nostre braccia pendono libere lungo i nostri fianchi. Se ora cominciamo a ruotare su noi stessi sentiamo insorgere una forza inerziale – la forza “centrifuga” – che tira le nostre braccia verso l’esterno e tende ad allontanarle dal corpo. Supponiamo adesso che il cielo si rassereni: scopriamo che la forza centrifuga insorge quando il cielo stellato ruota sopra di noi, mentre è assente quando esso è fermo rispetto a noi. Per Mach questo fatto, lungi dal doversi considerare una semplice coincidenza, mostra che quello che conta è l’accelerazione rispetto alle “stelle fisse”. Sulla base di queste considerazioni, Mach contestò le conclusioni cui era giunto Newton a seguito del suo celebre esperimento del secchio d’acqua rotante (che, scrive il fisico inglese, «ho effettuato io stesso») e ne fornì una interpretazione assai diversa.

Si consideri un secchio pieno d’acqua appeso al soffitto tramite una corda. Se la corda viene arrotolata attorno a se stessa e poi lasciata andare, il secchio comincia a ruotare non solo rispetto allo sperimentatore, ma anche rispetto all’acqua, che rimane ferma. Man mano che la corda continua a srotolarsi, il moto si comunica all’acqua che alla fine ruota assieme al secchio con la sua stessa velocità di rotazione; a causa dell’instaurarsi della forza centrifuga, la superficie dell’acqua si rialza ai bordi e si deprime al centro. Questa concavità è la dimostrazione che l’acqua è effettivamente in rotazione, anche se è ferma rispetto al secchio. Dunque, non è il moto relativo tra secchio e acqua a determinare la concavità della superficie di quest’ultima, ma è la rotazione rispetto a qualcos’altro. Questo “qualcos’altro” è, per Newton, lo “spazio assoluto”, rispetto al quale è possibile definire il reale stato di moto degli oggetti, anche se, come lo scienziato stesso scrive nei Principia, «è in verità molto difficile scoprire il moto assoluto di un corpo e distinguerlo da quello apparente; infatti, lo spazio inamovibile rispetto al quale si realizza il moto assoluto non può in alcun modo essere da noi percepito».

L’idea di un qualcosa – in questo caso lo spazio assoluto – che agisce sulle cose senza che nulla possa agire su di esso risultava inaccettabile per Mach. Egli riteneva che, in un universo vuoto, l’esperimento di Newton non avrebbe portato ad alcuna concavità della superficie dell’acqua, in quanto, in assenza di riferimenti, non ha senso parlare di rotazione. Secondo Mach, la forza centrifuga insorge perché la rotazione avviene rispetto alle “stelle fisse” (ovvero, come diremmo oggi, le galassie distanti, sconosciute ai tempi di Mach che si riferisce alle stelle più lontane allora osservabili). L’enormità di tutta questa massa fa sì che, nonostante la sua grande lontananza, la distribuzione media di tutta la materia dell’universo determini l’inerzia dell’acqua tramite una qualche interazione “sfortunatamente sconosciuta”. In un universo vuoto, la rotazione dell’acqua rispetto al secchio non porterebbe ad alcuna curvatura della sua superficie, a causa dell’esiguità della massa e, dunque, dell’influenza, del secchio. In conclusione, viene postulato che l’origine dell’inerzia di un corpo (e delle forze inerziali ad essa connessa) è dovuta all’interazione tra questo corpo e la materia dell’universo: in questo consiste il cosiddetto “principio di Mach”.

Se Mach fosse vissuto abbastanza a lungo da venire a conoscenza del fatto che noi viviamo in un sistema, la Via Lattea, schiacciato a causa della sua rotazione, coerentemente con le sue idee, avrebbe potuto predire nel xix secolo la presenza di materia (rispetto a cui ruotare) ben al di là della nostra Galassia, anticipando le scoperte di Edwin Hubble del 1923.

Mach non fu in grado di dire tramite quale tipo di meccanismo stelle distanti miliardi di anni luce possano influenzare l’inerzia e come possano farlo istantaneamente, visto che le forze inerziali si manifestano immediatamente, nel momento in cui un corpo subisce un’accelerazione. Einstein fu influenzato dalle idee di Mach e ritenne, almeno inizialmente, di poter dare una risposta a questi interrogativi tramite la sua teoria della relatività generale. In effetti, l’inerzia è una caratteristica comune a tutti i corpi, indipendentemente da altre proprietà, come ad esempio la carica elettrica. L’unica forza, delle quattro presenti in natura, che agisce su tutti i corpi indistintamente è la forza di gravità. È dunque naturale ritenere che le stelle fisse determinino l’inerzia dei corpi per il suo tramite. Secondo la relatività generale, un qualunque corpo, ad esempio una stella, genera effetti gravitazionali curvando lo spazio attorno a sé. Un’ipotetica cometa passante nei pressi della stella non risente di alcuna forza e continua a muoversi liberamente; tuttavia, attraversando uno spazio curvo, essa deflette dalla sua traiettoria rettilinea come succede ad una pallina da ping-pong che, rotolando su una superficie di gommapiuma, passi vicino ad un avvallamento.

Pertanto, la geometria dello spazio locale in cui viviamo è determinata dal complesso della materia nell’universo. Questo fa sì che un corpo in accelerazione nello spazio curvo risenta, qui ed ora, di un effetto dovuto alla materia distante, subendo l’azione di forze inerziali. Nonostante queste considerazioni, è possibile dimostrare che il principio di Mach non è automaticamente incorporato nella relatività (si veda il livello avanzato). A tutt’oggi i fisici discutono sulla reale fondatezza di questo principio. In ogni caso, esso ha avuto il merito di porre in evidenza, molto chiaramente, la stretta correlazione esistente tra le proprietà inerziali dei corpi e quelle gravitazionali e inoltre di aver messo sullo stesso piano le forze apparenti e quelle reali.

 


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