Le sorgenti superluminali
Annibale D'Ercole
Osservatorio Astronomico - Bologna
 
E' noto che tutte le galassie sono radiosorgenti: le esplosioni di supernovae producono elettroni di alta energia che si disperdono nel gas interstellare ed interagiscono con il campo magnetico galattico emettendo radiazione di sincrotrone (si veda la Spigolatura del n. 2/1999) con lunghezze d’onda tipicamente nell’intervallo radio dello spettro elettromagnetico.
Si tratta tuttavia di emissioni molto deboli rispetto a quelle delle cosiddette radiosorgenti, la cui luminosità radio può essere oltre cento milioni di volte superiore a quella di una galassia normale. La regione centrale di questi oggetti (il nucleo) è una potente radiosorgente da cui vengono espulsi a velocità relativistica (ovvero a velocità v  vicina a quella della luce c) due getti di materia in direzioni opposte che costituiscono essi stessi una radiosorgente doppia. Questi getti si estendono ben oltre i confini della galassia di appartenenza, raggiungendo distanze di una decina di milioni di anni luce.
L’evoluzione di questi getti nello spazio intergalattico, così come il meccanismo del "motore" centrale in grado di produrli, rappresentano un intreccio alquanto complesso tra fisica del plasma (ovvero gas altamente ionizzato), idrodinamica e buchi neri non ancora definitivamente dipanato dagli astrofisici. A noi, tuttavia, in questa sede interessa trattare un aspetto per così dire "collaterale" riguardante alcune delle radiosorgenti più luminose e collegato alla cinematica dei getti (ovvero la modalità del loro moto) piuttosto che ai complicati meccanismi da cui si originano. 


FIGURA  1

La figura 1 mostra le immagini radio del nucleo della radiosorgente 3C345 nel periodo dal 1979 al 1984. Un getto di materia composto da "macchie" discrete si allontana dal nucleo. In particolare, la macchia denominata C3 risulta aver coperto una distanza di circa 30 anni luce in cinque anni, che corrisponde ad una velocità di espansione pari a circa sei volte quella della luce.
In generale, le sorgenti che mostrano velocità superiori a quella della luce vengono dette superluminali. È ben noto che in natura nulla può superare la velocità della luce, ed in effetti tali sorgenti possono venire agevolmente spiegate dal cosiddetto modello balistico relativistico che ha trovato largo, anche se non unanime, consenso. 
FIGURA  2
Questo modello fu proposto da Martin Rees della Oxford University nel 1967, quattro anni prima della scoperta delle sorgenti superluminali. Si ipotizza che un getto di materiale radioemittente sia espulso dal nucleo in direzione vicina a quella di osservazione (figura 2). Se il getto si muove a velocità prossima a quella della luce, esso si sposterà quasi di conserva con la radiazione che emette. Allora il meccanismo può essere schematizzato come segue.
Concentriamo l’attenzione su un "lampo" emesso dal getto ad un certo istante. Il raggio luminoso viaggia verso l’osservatore distante "inseguito" da presso dal getto che, dopo un certo tempo, emette un secondo lampo. Questo secondo raggio luminoso, dunque, procede verso l’osservatore rimanendo "a breve distanza" dal primo. Al loro arrivo sulla Terra i due lampi colpiranno il radiotelescopio a breve distanza temporale l’uno dall’altro. Questo intervallo temporale è più corto di quello "vero" effettivamente intercorso tra l’emissione dei due lampi.
Dunque per l’osservatore lo spostamento del getto sembrerà avvenire in un tempo inferiore a quello realmente impiegato. Ovvero, in altre parole, la velocità apparente del getto risulterà superiore non solo a quella vera, ma anche, possibilmente, alla velocità della luce. 
Vale la pena sottolineare che la teoria della relatività non risulta inficiata dal fenomeno delle sorgenti superluminali. Infatti ciò che realmente non può superare la velocità della luce è l’informazione fisica, mentre "effetti di prospettiva" come quello descritto più sopra possono dare luogo a velocità superiori a c .
Per chiarire meglio questo concetto si consideri il seguente esempio. Supponiamo di avere un certo numero di lampadine poste in fila, scollegate l’una dall’altra, ma dotate ognuna di una cellula fotoelettrica. Se la prima lampadina emette un lampo, la luce raggiunge la cellula fotoelettrica collegata alla seconda lampadina, provocandone l’accensione. Questa a sua volta causerà l’accensione della terza, e così via.
Questa "ola" luminosa si propaga alla velocità della luce, e non superiore; infatti l’accensione di ciascuna lampadina è causata dall’accensione di quella precedente e deve aspettare l’arrivo dei raggi luminosi di quest’ultima che viaggiano appunto a velocità c.
Consideriamo ora una sorta di faro posto all’interno di un cilindro. Se il raggio del cilindro è sufficientemente grande, la macchia luminosa prodotta dal faro in rotazione scivolerà sulla superficie cilindrica a velocità superiore a quella della luce. Poniamo ora la solita fila di lampadine lungo il percorso della macchia luminosa del faro. Ogni lampadina emetterà un lampo non appena la propria cellula fotoelettrica sarà investita dalla luce del faro. In questo caso, dunque, la "ola" luminosa si propaga a velocità superluminale. Tuttavia ora l’accensione di ogni singola lampadina non dipende dal comportamento di quella precedente, ed il principio di causalità (ovvero il fatto che l’effetto prodotto da una causa non può propagarsi a velocità maggiori di c) non è contraddetto. 

 


 
Home
Spigolature
Livello
Avanzato