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E = mc2
Annibale D'Ercole
Osservatorio
Astronomico - Bologna
Per affrontare la derivazione della formula E = mc2, è necessario prima accennare al classico fenomeno
astronomico dell’aberrazione della luce. Questo fenomeno può essere facilmente
compreso grazie a una esperienza alquanto comune nella vita quotidiana.
Supponiamo di trovarci fermi, in piedi, sotto la pioggia. In una giornata
senza vento, le gocce d’acqua cadono con velocità c, seguendo traiettorie verticali e, per ripararci, noi dobbiamo
tenere l’ombrello esattamente sopra la nostra testa, con il bastone anch’esso
in posizione verticale. Se cominciamo a camminare con velocità -v, andiamo incontro alla pioggia la
quale ci apparirà ora avere due componenti di velocità, una verticale c e una orizzontale v (infatti, nel sistema di
riferimento che si muove con noi con velocità –v rispetto al precedente, noi siamo fermi e la pioggia acquista
una velocità orizzontale v verso
di noi). Di conseguenza, le gocce d’acqua ci appaiono cadere lungo
traiettorie oblique e noi dobbiamo effettivamente tenere l’ombrello inclinato
in avanti, se vogliamo ripararci al meglio. Questo effetto aumenta
all’aumentare di v. Quando ci
muoviamo in macchina in una notte piovosa, la pioggia illuminata dai nostri
fari sembra provenire da zone di cielo assai più avanti rispetto a noi. Fig. 1. Nel pannello superiore è mostrato un osservatore
che si muove con velocità –v, sotto la pioggia che cade
verticalmente con velocità c. Nel pannello inferiore, la
stessa scena è mostrata come appare in un sistema di riferimento che si muove
con l’osservatore. In questo riferimento, l’osservatore è fermo e la pioggia
acquista una componente orizzontale di velocità v e la sua traiettoria
appare inclinata di un angolo α rispetto alla verticale. L’effetto appena descritto vale anche
per i raggi luminosi. Se una stella si trova allo zenit, ossia proprio sopra
di noi, i suoi raggi luminosi dovrebbero apparire perfettamente verticali e
anche il tubo del telescopio dovrebbe essere posizionato verticalmente per
inquadrare la stella. Dal momento, però, che Il lettore che ha avuto la pazienza
di seguirci fin qui si chiederà cosa c’entri tutto quello che abbiamo detto finora
con l’equivalenza tra massa ed energia, che rimane l’argomento di discussione
di questa nota. In effetti, è una caratteristica del genio di Einstein quella
di dimostrare cose straordinarie tramite esperimenti mentali all’apparenza
banali e scollegati dall’argomento che si vuol trattare. Quella che segue è
l’ultima delle varie dimostrazioni che Einstein ha dato della sua celebre
formula. Supponiamo di avere un oggetto di
massa M, ad esempio un libro,
posto in quiete al centro tra due lampadine i cui raggi luminosi colpiscono
il libro stesso. I fotoni emessi dalle lampadine hanno ognuno energia 0.5E, sicché, ogni volta che il libro è
colpito (simultaneamente) da due fotoni, si scalda aumentando la sua energia
di una quantità E. Già da
moltissimo tempo gli astronomi sono a conoscenza del fatto che la luce
esercita una pressione; le code delle comete si pongono sempre in direzione
opposta a quella del Sole, proprio perché sono “soffiate via” dalla
radiazione solare. La pressione esercitata da un fotone su, diciamo, un
elettrone può essere intesa come un trasferimento di quantità di moto dal
fotone all’elettrone. Sperimentalmente, si trova che la quantità di moto di
un fotone è pari a q = E/c, dove E è l’energia del fotone e c è la velocità della luce[1]. Tornando
al nostro libro, esso, essendo sottoposto a due pressioni di radiazione
laterali uguali e contrarie, rimane fermo. Fig. 2. Nel pannello superiore è mostrato il libro in
quiete, posto a metà strada tra due lampadine i cui raggi luminosi lo
illuminano orizzontalmente. Nel pannello inferiore, il libro è mostrato come
appare da un sistema di riferimento in moto verso il basso con velocità –v;
in questo riferimento il libro appare muoversi verso l’alto con velocità v
e i raggi luminosi risultano inclinati di un angolo α rispetto
all’orizzontale. Poniamoci ora in un sistema di
riferimento che si muova verso il basso con velocità –v (si veda la fig. 2). Il libro ci apparirà muoversi verso
l’alto con velocità v. Ma questa
non è l’unica differenza; a causa del fenomeno dell’aberrazione della luce, i
fotoni provenienti dalle lampadine colpiscono, ora, il libro obliquamente e
gli cedono la componente verticale della loro quantità di moto. Questa
addizione di quantità di moto non può andare a incrementare la velocità del
libro portandola ad un valore v’ >
v. Se così fosse, tornando al
riferimento iniziale il libro non ci apparirebbe fermo, ma dotato di una
velocità verso l’alto v’ - v. Questo però non può essere perché
nulla giustifica, in questo riferimento, l’acquisizione di una simile
velocità da parte del libro. L’unico modo per aumentare la quantità di moto
del libro senza variarne la velocità è ammettere che ad aumentare sia la sua
massa, che diventa M’ > M. Tenuto conto che ciascun fotone cede
al libro la sua componente verticale di quantità di moto pari a 0.5 sin(α)E/c ≈ 0.5Ev/c2
(per il seno vale ciò che è vero per la tangente ovvero il suo valore è assai
simile a quello dell’angolo stesso quando quest’ultimo è molto piccolo),
dalla conservazione della quantità di moto abbiamo allora: M’v = Mv + Ev/c2. Dividendo tutti i membri per v e ponendo m = M’ - M, possiamo
finalmente scrivere E = mc2. In altri termini, l’energia dei
fotoni assorbita (sotto forma di calore) dal libro va ad aumentare la massa
del libro stesso. Questo risultato non vale solo per l’energia
elettromagnetica, ma ha carattere generale e sancisce l’equivalenza tra la
massa e qualunque forma di energia. Una conseguenza clamorosa
dell’equivalenza tra massa ed energia è data dalla realizzazione delle
reazioni nucleari. In particolare, la fusione dei nuclei di idrogeno, ossia i
protoni, fornisce l’energia che permette al Sole di risplendere da 4,5
miliardi di anni e gli permetterà di farlo in futuro per un analogo lasso di
tempo. L’alta densità (150 g/cm3) e temperatura (15.000.000 K) al
centro del Sole permettono a due protoni di superare la repulsione
elettrostatica e fondersi assieme a due neutroni formando nuclei di elio,
ciascuno costituito, appunto, da due protoni e due neutroni. Ora, se
potessimo pesare il nucleo di un atomo di elio, di massa mHe, ci accorgeremmo che è più leggero della somma dei
suoi quattro componenti. In particolare, considerando che la massa di un
neutrone è sostanzialmente uguale a quella del protone mp, si trova che 4mp
- mHe = 0.029mp, con una percentuale di
massa persa pari a (4mp -
mHe)/4mp ≈ 0,007. Dunque,
la trasmutazione dell’idrogeno in elio include una perdita di massa di circa Anche se la massa mancante è piccola,
l’energia prodotta è grande (grazie al grande valore di c), circa 6×1018 erg per ogni grammo di materia
annichilita. Dal momento che la massa di idrogeno nel Sole ammonta a circa il
70% di quella totale (pari a M = 2×1033
g), le riserve di combustibile nucleare potrebbero permettere al Sole, nel
corso della sua esistenza, di produrre una quantità di energia pari a Eto t= 0,007 × 0,7
× Mc2=8,82 × 1051
erg. Poiché il Sole perde energia ad un
tasso pari alla sua luminosità L =
4 × 1033 erg/s, in linea di principio esso può splendere per un
periodo pari a t = Etot/L ≈ 100 miliardi di anni. In verità, solo un decimo
dell’idrogeno del Sole, quello che si trova nelle zone centrali, dove le
condizioni sono favorevoli all’innesco delle reazioni nucleari, è destinato a
trasformarsi in elio; la vita del Sole si riduce pertanto a t = 10 miliardi di anni, un lasso di
tempo comunque ampiamente sufficiente a permettere l’evoluzione sulla Terra! |