Telescopi ed Osservatorii del 2000 all'indice generale
Telescopio Gemini Nord (Mauna Kea- Hawaii)
Grandi occhi sul cielo
Nell'ultima decade del XX secolo l'uomo ha posto mano alla costruzione di grandi, grandissimi telescopi. Essi costituiscono autentiche meraviglie nel campo dell'ottica, dell'ingegneria, della meccanica e dell'elettronica.
Ognuno racchiude in sè migliaia di anni-uomo lavoro: molto impegno infatti deve essere profuso per fare di un grande progetto un ottimo telescopio, un prezioso strumento, che per alcuni decenni sia in grado di marcare le frontiere della scienza.
Sempre più grandi?
La dimensione di un telescopio si indica con il diametro del suo specchio primario. Il concetto di grande dipende dall'epoca: negli anni 80, a parte il 5 metri del Palomar, grande significava un diametro di 3.5 - 4 metri, mentre, nell'anno 2000, grande significa almeno 8 metri. Un bel salto davvero!
Si costruiscono grandi telescopi per allargare la pupilla: più grande infatti è lo specchio, maggiore risulta l'energia raccolta, a parità delle altre condizioni. Si possono quindi rivelare oggetti di bassissima luminosità, solitamente molto lontani e quindi osservare situazioni molto vecchie. Studiare le loro caratteristiche, significa capire come era l'universo in quella lontana epoca.
Come sono gestiti?
La costruzione di un grande telescopio comporta grandi impegni progettuali, economici ed organizzativi. Per tale motivo essi sono spesso il frutto di complesse collaborazioni internazionali. Per esempio il Progetto Gemini si basa su di una collaborazione tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Cile, Australia, Argentina e Brasile.
A volte la collaborazione riguarda anche la costruzione della strumentazione accessoria del telescopio. Questo aspetto nel tempo ha visto accrescere la sua importanza: gli strumenti sono ormai estremamente complessi dal punto di vista meccanico, ottico ed elettronico e spesso presentano vari modi di funzionamento tra loro alternativi e complementari. Essi richiedono lunghi tempi di progettazione e sviluppo e finanziamenti cospicui.
Quanto costano?
Nella costruzione di un grande telescopio si devono sostenere costi molto alti in tutte le varie fasi di sviluppo. La progettazione, spesso lunga e complessa comporta un lavoro coordianto da parte di ingegneri strutturali, meccanici, ottici ed elettronici. Lunga e delicata è poi la fase di fusione dello specchio e della sua sucessiva lavorazione ottica. Non vanno neppure sottovalutati i costi del trasporto di questi mastodontici specchi nei loro imballaggi dalle officine ottiche sino al loro sito definitivo, spesso collocato sulla vetta di una montagna alta 4000 mila metri. La Fondazione W.M. Keck per costruire i due meravigliosi gemelli da 10 metri di diametro ha sostenuto tra il 1989 ed il 1996 una spesa superiore ai 140 milioni di dollari. Una grossa cifra invero, che forse tuttavia non sarebbe sufficiente ad una squadra corse per partecipare ad un paio di campionati di formula 1.
VLT-UT4 Assemblaggio struttura Montature
Gli specchi dei grandi telescopi hanno diametri di 8 o più metri ed anche se sono estremamente sottili, il loro peso risulta considrevole. Prendendo come esempio un telescopio del Very Large Telescope dell'ESO, esso ha un primario con le seguenti caratteristiche: Ne consegue che la struttura destinata a sostenerlo debba essere particolarmente robusta e stabile. La montatura di un telescopio, che offre i maggiori requisiti di rigidità, è quella altazimutale (descritta nella sezione strumenti). Essa risulta anche la meno costosa e la più compatta; l'unico problema che essa comporta è che, per poter inseguire una sorgente nel suo moto, il telescopio deve muoversi contemporaneamente attorno ai suoi due assi di rotazione. Un movimento combinato, che dipende dalla latitudine dell'osservatorio e dalle coordinate della sorgente. Ciò tuttavia non rappresenta un problema al giorno d'oggi, con i motori ed i sensori di posizione asserviti ad un'elettronica gestita da un computer. Il posizionamento del telecopio viene effettuato con la precisione del centesimo di secondo d'arco.

[Nella foto il quarto telescopio del VLT, UT4 (Unit Telescope 4) durante una fase di assemblaggio nelle officine dell'Ansaldo (Milano, Italia)]

Fuochi
Nei grandi telescopi dell'ultima generazione continuano ad essere utilizzati sia il classico fuoco Cassegrain, per la seplicità d'uso e la rapidità, sia il fuoco Coudè, destinato agli strumenti di ingombro maggiore oppure quando occorra estrarre il fascio focale per farlo confluire assieme ad altri altri in un unico rivelatore. Tali configurazioni sono disponibili quando si disponga di più telescopi in grado di operare in modo combinato (Keck, VLT).
Rispetto al passato ha perso di importanza il fuoco primario, estrmamente rapido, ma di complessa attivazione. Ciò lo si deve al fatto che l'esigenza di un fuoco tanto rapido è oggi meno sentita, dal momento che sono disponibili rivelatori di immagini a stato solido, CCD, talmente sensibili ed efficienti, da poter operare con tempi di integrazione ridottissimi anche se montati su fuochi meno rapidi.
Per i nuovi telescopi ha assunto grande importanza il fuoco Nasmyth, tipico delle montature altazimutali. Tale fuoco è sistemato in corrispondenza dell'attacco dell'asse orizzontale del telescopio con la forcella della montatura e viene attivato con un'estrazione laterale del fascio ottico mediante uno specchio a 45 gradi. Il grande vantaggio è che il fuoco giace in coincidenza del punto di appoggio del telescopio sulla montatura altazimutale, facilmente accessibile, ove possono essere sistemati strumenti, anche di grosse dimensioni, che non determinano alcun aumento della massa in movimento del telescopio. L'unico problema consiste nel fatto che il campo di vista del telescopio al fuoco Nasmyth ruota attorno all'asse orizzonle del telescopio, mentre questo si muove per il normale inseguimento della sorgente. Occorre quindi accoppiare gli strumenti mediante un derotatore, che è di per sè un'interfaccia meccanica complessa.

[Nella foto il derotatore al fuoco Nasmyth dell' UT1 del VLT - ESO]

VLT - Ottica attiva Ottiche attive
Specchi sottili come quelli del VLT dell'ESO, con uno spessore pari a solo i 2% del diametro, al di fuori delle possibilità tecniche solo di qualche anno fa, consentono certamente di diminuire in modo sostanziale il peso e quindi di rendere tutta la struttura meccanica più leggera, ma rendono lo specchio poco rigido e quindi sensibile ad ogni perturbazione, termica o meccanica che sia. D'altra parte l'elasticità della struttura consente di poterne controllare con un apposito sistema la forma, in modo da farle assumere quella desiderata. L'applicazione di tali concetti ha portato alla definizione delle ottiche attive per i telescopi.
In pratica un sistema elettronico automatico agisce sul fondo posteriore dello specchio mediante numerosi attuatori, 150 nel caso del VLT, modificandone la forma ottica al fine di ottimizzare il fronte d'onda proveniente dalla sorgente. Appena il fronte d'onda cambia, il sistema riassesta lo specchio in modo ottimale. Le perturbazioni che si riescono ad eliminare sono quelle a variazione temporale lenta, da qualche decina di secondi, fino ad un massimo di un secondo, tipicamente quelle termiche e meccaniche.
Per rimuovere le perturbazioni ottiche con frequenza maggiore, bisogna ricorrere ad un tipo di sistema differente: l'ottica adattiva
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Ottiche adattive
L'ottica adattiva è costituita d aun sistema ottico-meccanico ingrado di rilevare le perturbazioni del fronte d'onda ad alta frequenza, sino a qualche decina di hertz, che si originano nell'alta atmosfera e che vanno sotto il nome di seeing.
KECK II - Ottica adattiva La rimoszione delle distorsioni viene effettuata su di un piccolo specchio posto sul cammino del fascio ottico, la cui forma è controllata da un sistema analogo a quello delle ottiche attive. L'esame del fronte d'onda viene svolto con frequenza superiore al decimo di secondo, osservando una sorgente naturale (stella) od artificiale (stella laser), generata da un laser ottico al sodio, collimato con il fascio del telescopio e focalizzato nella mesosfera, a 90 Km di altezza. Ivi è presente un sottile strato di sodio atomico che riflette il fascio laser e produce l'immagine di una stella con mV=10.
La foto a fianco ben illustra il risultato dell'intervento del sistema di ottica adattiva montato al Telescopio Keck II.
Nella foto è mostrato un campo stellare in direzione del centro galattico. I quadratini in basso mostrano la visione del campo del telescopio con il sistema per l'ottica adattiva non in funzione (a sinistra) ed in funzione (a destra). Il miglioramento della risoluzione angolare risulta davvero sorprendente: si passa dal secondo d'arco al centesimo di secondo d'arco, operando nel vicino infrarosso !!
Strumentazione
La strumentazione accessoria di un grande telescopio non rappresenta affatto un aspetto di secondaria importanza, ma un punto di qualificazione importante per un osservatorio astronomico nell'attuale scenario di alta competizione internazionale.
Risulta difficoltoso analizzare le potenzialità dei diversi strumenti operanti presso i più moderni telescopi, senza entrare nei dettagli tecnici, per i quali rimandiamo alla documentazione scientifica. Qui ci basta osservare che gli strumenti odierni sono estremamente complessi non solo nella costruzione ottico e meccanica, ma soprattutto nelle varie funzionalità che presentano. Essendo montati su grossi telescopi ed essendo essi stessi di grandi dimensioni, non risulta operazione semplice la loro sostituzione. Da questo punto di vista il fatto di poter operare con differenti funzionalità, tra loro complementari, risulta non solo un vantaggio, ma spesso un requisito essenziale. Vi sono strumenti così ingombranti e delicati, che vengono montati in modo permanente di solito ad uno dei fuochi Nasmyth di un telescopio. Vi sono pertanto spettrografi che operano dall'ultravioletto all'infrarosso senza soluzione di continuità, altri che possono con semplicità fornire anche ottime prestazioni come camera ad immagini, altri ancora che consentono di ottenere spettri singoli di decine di sorgenti contemporaneamente. Ma la lista potrebbe anche essere molto lunga.

Descriviamo ora brevemente alcuni di questi strumenti

Keck HIRES (High Resolution Echelle Spectrograph)
HIRES costituisce lo strumento più grande e complesso (80 quintali di peso, svariati metri cubi di volume) montato al telescopio Keck I. Realizzato presso il Lick Observatory, Università di California, da Steve Voght in 5 anni di lavoro e costato una cifra superiore agli 8 miliardi di lire, HIRES rappresenta lo spettrografo di migliori prestazioni oggi esistente. Mediante un complesso sistema di filtri e lenti HIRES analizza la luce delle sorgenti su di un intervallo spettrale che va da 0.3 a 1.1 micron, suddividendola in migliaia di canali, che vengono registrati su di un CCD di 2048x2048 pixel. Le prestazioni risultano eccezionali: si possono analizzare sorgenti da 10 a 100 volte più deboli che con qualunque altro strumento oggi in funzione.
Keck LRIS (Low Resolution Imaging Spectrograph)
Il LRIS è uno spettrografo a bassa risoluzione con possibilità di ottenere immagini dirette su di un CCD di 2048x2048 pixel con un campo di 6x8 minuti d'arco. Esso è stato progettato e realizzato da J. Cohen e B. Oke (Caltech) e consiste di un enorme cilindro del diametro di circa 180 centimetri del peso di 10 quintali. Particolarmente adatto per l'analisi di oggetti deboli, viene comunemente utilizzato nello studio di popolazioni stellari in galassie lontane, nuclei galattici attivi, ammassi di galassie e quasars, nonchè per deboli sorgenti stellari, nane bianche e brune. Con esso sono stati misurati i redshift di varie galassie all'interno dell' Hubble Deep Field, l'immagine più profonda mai ottenuta ad un telescopio e mostrata nella foto a fianco.
Dove si trovano?
Nella costruzione di un grande telescopio il primo e forse più arduo problema da risolvere è quello del sito. I costi e gli sforzi che si sostengono per la costruzione impongono la scelta di un luogo con caratteristiche tali da garantire un alto numero di notti serene, con buon seeing, con condizioni adatte anche alle osservazioni nell'infrarosso, considerato che tutti i grandi telescopi sono progettati per operare anche in questa banda dello spettro elettromagnetico. Una scelta oculata determina infatti le prestazioni finali del complesso telescopio-strumentazione.
Chiunque abbia anche solo posto l'occhio ad un binocolo astronomico sa bene quale sia il problema fondamentale da risolvere: trovare un posto buio, molto buio. Decine di chilometri di lontananza dai centri abitati non sono spesso sufficienti a garantire condizioni di buio adeguate; inoltre occorre prevedere che la situazione non subisca sostanziali mutamenti per qualche decennio. Secondo importante elemento da considerare è la qualità del seeing, che si origina dalle turbolenze presenti nell'alta atmosfera. Ciò porta a scegliere zone ove insistono per la maggior parte del tempo condizioni meteorologiche anticicloniche, tipiche delle regioni desertiche. Tali fattori determinano un buon sito per le osservazioni ottiche, ma non sono sufficienti per quelle infrarosse, Qui il fattore discriminante è dato dall'umidità dell'aria, in grado di chiudere, anche completamente, le finestre presenti nella banda infrarossa. Un buon sito per osservazioni infrarosse deve essere sempre molto secco, con un quantità di vapor d'acqua precipitabile inferiore al millimetro (altezza della colonna di vapor d'acqua condensato lungo la linea di vista osservatore-sorgente). D'altra parte, poichè il vapor d'acqua tende a stratificarsi nella bassa atmosfera, il fattore determinante diviene l'altezza del sito. In una regione con clima molto secco, una montagna alta almeno 2500 metri rappresenta un buon sito per le osservazioni infrarosse.
Il miglior sito astronomico, già individuato negli anni 80, è la cima di un vulcano, Mauna Kea, nell'isola di Hawaii dell'omonimo arcipelago, alta oltre 4000 metri. Qui v'è la più alta concentrazione di telescopi del mondo: 4 moderni strumenti di oltre 8 metri si trovano sulla cima del vulcano (Keck I, Keck II, Subaru e Gemini Nord).

Altri ottimi siti sono costituiti dalla vetta di alcune montagne della Cordigliera delle Ande, uno dei quali è il Cerro Paranal, ove ha sede il Very Large Telescope dell'ESO.