Biografia di Francesco Maria Zanotti

Francesco Maria Zanotti


Tratto da: Notizie della vita e degli scritti di Francesco Maria Zanotti
Raccolte e pubblicate da Giovanni Fantuzzi.

In Bologna, nella stamperia di S. Tommaso d'Aquino, 1778

Francesco Maria Zanotti parve un'ingegno fatto a tutte le scienze. Perciò non è da maravigliarsi, che ottennesse lode di eloquenza. Scrisse elegantissimamente sì in prosa, come in verso (ciò che forse di niuno si legge) tanto nella latina lingua, quanto nella volgare.
Il Padre fu Gio: Andrea Cavazzoni Zanotti Bolognese. Questi andato a Parigi servì per molti anni quel Re su le regie scene; nel che fu così eccellente, che parve essere il Roscio de' tempi suoi. Essendogli morta la moglie, che avea presa in Bologna, sposò in Parigi una giovane d'un'onestissima famiglia per nome Maria Margarita degli Enguerans, la qual poi condusse a Bologna, dove volle restituirsi, dopo avere lungamente servito quel grandissimo Re, e ricevutone grazie, e beneficenze straordinarie. Ebbe da Maria Margarita 18 figliuoli, l'ultimo de' quali fu Francesco Maria, quello di cui ora ragioneremo.
Nacque Francesco Maria Zanotti in Bologna la sera de' 6 Gennaro nel 1692. Perdè prestissimo il Padre. La Madre, che era Donna di grande spirito, ne prese l'educazione, e incamminollo nelle lettere. Ebbe verso quest'ultimo figlio un singolare affetto, parendole, che nelle qualità sì dell'animo, come del corpo, fosse al Padre somigliantissimo. Accomandollo a' PP. della Compagnia di Gesù, nelle scuole de' quali apprese la gramatica, e la rettorica, e conseguì i sommi onori, che danno in que' primi studj a' Fanciulli.
Passò allo studio della Filosofia, essendo d'anni 13, sotto la disciplina del Padre Abate Carlo Lodi de' Canonici di S. Salvatore, Filosofo a que' tempi, e Teologo illustre nella università di Bologna. Benchè, morto questo, compiè nel terz'anno lo studio della Filosofia sotto la disciplina del Dott. Alessandro Garofali per ingegno, e per dottrina degnissimo successore del Lodi.
Ad amendue i maestri parve Francesco Maria di chiarissimo, e perspicacissimo ingegno sopra l'età; e fu creduto, che fra tutti i giovani dell'Università, pochi avesse eguali. Mentre studiava la Filosofia, coltivò, quanto potè, la lingua latina, leggendo massime i Poeti, che sommamente lo allettavano, Virgilio, Orazio ed Ovidio. Pose anche studio nella volgar Poesia, di cui divenne oltre modo vago; e fece fin d'allora, portato più da naturale impeto, che da arte veruna, alcuni componimenti, che parvero maravigliosi anche a' più intelligenti. Giovogli in ciò la conoscenza, ch'e' fece allora, di Fernando Antonio Ghedini, Poeta a quel tempo in Bologna assai chiaro.

Volle a que' dì il Senato introdurre nella Università la Cattedra dell'Algebra, non più statavi per l'addietro, e conferilla a Vittorio Stancari, uomo in quella scienza molto versato. Questi vogliosissimo di promovere tale scienza in Bologna, quanto potesse, e acquistarle stima, desiderava oltremodo, che alcun giovane d'alto ingegno vi si applicasse, il quale però niente sapesse delle scienze matematiche, volendo far prova di quanto innanzi potesse procedersi colla sola scorta dell'Algebra. Non fu difficile per mezzo di Ghedini tirare alla Scuola dello Stancari il Zanotti. Questi dunque nel terzo anno della Filosofia intraprese lo studio dell'Algebra; e noi sappiamo, che lo Stancari, tra molti scolari, che avea, di niuno più compiacevasi che di lui; benchè il Garofali assai temea, che quello studio dovesse tanto piacergli, che lo distogliesse dalla Filosofia, ch'ei gl'insegnava. Lo Stancari, spiegate appena le prime regole, morì. Allora il Zanotti depose affatto il pensiero dell'Algebra.
Venuto il fine di quell'anno amò il Garofali, che egli desse pubblicamente un saggio del suo profitto. Sostenne egli dunque nella chiesa di S.Salvatore una pubblica disputa sopra a molte conclusioni tratte da tutte le parti della Filosofia. La facilità, e prontezza a ripigliare le difficoltà, e gli argomenti proposti, la speditezza, e chiarezza somma in risolverli, una certa natural facondia, con un lepore di latinità nuovo, che cominciava in lui a discoprirsi anche in quell'età così tenera, levarono un grido straordinario, e gli acquistarono il concetto d'un ingegno raro e maraviglioso. Egli non curò di prender subito la Laurea Dottorale, e poco sempre fu amante de' gradi, e de' titoli. Come desiderava oltremodo di sapere, si lasciò facilmente per due o tre anni appresso, indurre allo studio quando d'una scienza, e quando d' un'altra, niuna essendone, che al presentarglisi non sommamente lo allettasse. Nel qual tempo gustò alcun poco la Giurisprudenza, e anche la Teologia; ma quanto alla Giurisprudenza, comecchè la scienza gli piacesse moltissimo, non potè mai sofferire gli usi, e i costumi del Foro.

In tanto seguì di applicarsi con grande affetto alla Poesia, e fu de' primi, che dietro la scorta del Ghedini promossero in Bologna lo studio de' Poeti antichi, e sopra tutti del Petrarca. Nel che ebbe per compagno Gio: Pietro suo fratello maggiore, il quale nato in Parigi l'anno 1674, e poi venuto col Padre a Bologna, cominciò anch'egli in questi tempi a poetare con molto grido, che perdette con suo estremo dolore li 28 Settembre dell'anno 1765. Francesco Maria aggiunse alla Poesia italiana ancor la latina, e quantunque fosse innamorato d'Ovidio, né ancor gustasse il verseggiar di Catullo, credea però, dover questo Poeta esser bellissimo, sapendosi quanto piacque a Ovidio stesso. Si studiò dunque, quanto potè, di riconoscerne le bellezze, e le grazie. Il che facendo, ne diventò ben presto così vago, che compose alcune elegie in istil catulliano, le quali generalmente piacquero, ed ebbero un sommo applauso da due uomini intendentissimi, che a que' dì passarono per Bologna, il famoso Morgagni e il Lazzarini. Può dirsi che il Zanotti fu uno de' primi, che promossero quello stile in Italia. Nel che però ebbe compagno il P. Jacopo Bassani Gesuita, il quale pure avea cominciato a comporre in quello stile molto leggiadramente, ed onorò poi il Zanotti, quando egli si addottorò, con una bella elegia, la quale leggesi nelle Poesie d'esso Bassani stampate in Padova l'anno 1749.

Il piacere della Poesia non gl'impedì di prendere un grosso gusto allo scrivere anche in prosa così volgare, come latina; tanto che in ultimo, datosi del tutto alla prosa, perdette quasi affatto il gusto di scrivere in versi. A che conferì anche molto quella gran noja, che danno a Poeti questi oziosi, che vogliono ogni dì sonetto, o canzone sopra qualsivoglia argomento; per soddisfar a' quali conveniva al Zanotti bene spesso comporre in fretta, e a dispetto, o dar come suo alcun componimento de' suoi amici, i quali già s'erano di ciò tra lor convenuti per liberarsi di quella molestia comune. Questo dispetto o più tosto ira, accrebbe in lui quel disamore, che sempre naturalmente ebbe alle cose sue, delle quali pochissimo conto teneva, e perché non mai tanto gli piacevano, quanto avrebbe voluto, e perché credea non potessero piacere agli altri, piacendo a lui così poco.
Ma tornando a quella prima età, la principal sua inclinazione fu sempre alla Filosofia, nella quale non era parte alcuna, che non sommamente gli piacesse; benchè nella parte esperimentale più amava di intendere le esperienze, e ragionarvi sopra, che di eseguirle. Era a que' tempi in Bologna assai promosso tra Medici lo studio della Notomia, e tra Matematici quello dell'Idrostatica, e dell'Astronomia. Ma nelle scuole dei Filosofi non s'era ancor receduto dal gusto degli Scolastici, se non quanto s'erano cominciate a introdurre alcune particolari sentenze tratte principalmente dal Gassendi, e dal Maignan. Tutta la lode d'un Filosofo era riposta nel saper ragionar bene, e rettamente in quelle questioni, che allor s'agitavano, e disputarvi sopra con molta acutezza, e chiarezza, niente però curando la politezza del parlar latino, che era pure la lingua comune delle scuole.
Il Zanotti, che parea nato per non fermarsi mai là, dove altri l'avesse condotto, voglioso di proceder sempre più avanti, quantunque avesse già conseguite tutte le lodi, che allora in un Filosofo ricercavansi, per assicurarsi, ed avanzarsi anche più, volle egli stesso vedere gli autori nelle opere loro, né solo i più moderni, che erano tuttavia in dispregio, ma anche Aristotele, e gli altri più antichi, che precedettero gli Scolastici; e a ciò gli valse qualche conoscenza, che prese della lingua greca di cui fu poi sempre vago. Ravvolgendosi tra questi autori, non gli parvero degni di quel disprezzo, che nelle scuole se ne avea. Ne formò anzi grandissima stima, e dicea, che nei progressi delle scienze debbon lodarsi non quelli solo, che con grande ingegno cominciarono; i quali se si ingannarono alcuna volta, sarebbonsi ingannati ancor quelli, che hanno poi proseguito, se invece di proseguire avesser dovuto incominciare.
Tra tutti gli piacquero Des Cartes, e Mallebranche. Questi lo invogliarono grandemente delle Scienze matematiche. Il celebre Eustachio Manfredi nel confortò; e quantunque avesse egli intermesso già da gran tempo di insegnare gli Elementi della Geometria, volle ripigliare quella fatica in grazia del Zanotti; stretto però dalle sue gravi occupazioni non potè terminarla; e convenne al Zanotti procedere innanzi parte da se, e parte sotto la disciplina di Geminiano Rondelli Matematico in Bologna molto illustre; con cui anche si esercitò alquanto nelle Naturali esperienze. Possiam dire con ogni verità, che nè il Manfredi, nè il Rondelli ebbero mai discepolo, che loro fosse più caro. Poco appresso passò allo studio dell'Algebra sotto il celebratissimo Gabrielle Manfredi.

Immerso in questi studj niente pensava a' suoi interessi, perché e dalla madre, e da molti altri fu stimolato a procacciarsi alcun posto tra Secretarj dell'Illustrissimo, ed Eccelso Senato. Consentì egli; ma volle ad un tempo chiedere anche una cattedra di Filosofia, non potendo del tutto distaccarsi da quello studio. Perciò addottorossi in Filosofia, e poco appresso sostenne nelle pubbliche scuole una disputa, nella quale superò di gran lunga l'aspettazione che tutti di lui aveano, quantunque fosse grandissima. Trasse le conclusioni, che sostener volle, dalla Dottrina di Des Cartes, esponendole con una eleganza, che comparve affatto nuova, e così le difese, che levò le grida, e gli applausi, parendo ad ognuno non aver mai udito nè maggiore ingegno, nè maggior copia di dire, nè tanta grazia, nè tanta politezza di lingua. L'approvazione, che ebbe quella disputa, fece sì, che più non pensandosi alla pubblica Secretaria, ottenne dalla beneficenza del Senato la Cattedra, che egli sopra tutto desiderava. Fu dunque fatto lettor pubblico di Filosofia. E ciò fu a' 9 di Novembre del 1718.

Ebbe tosto molti scolari. Egli credeva, che quel corso di Filosofia, che si fa imprendere a' giovanetti poc'anzi usciti dalla Gramatica, non altro esser debba, che un'esercizio di pensar bene, e giustamente; per cui si dispongano a qualunque scienza venga lor voglia di apprendere. Seguendo un tal principio volea, che i suoi discepoli, toltone quelle poche cose, che essendo di fatto, vogliono credersi per l'autorità di chi le racconta, in tutte l'altre si avvezzassero di consentir solo alla ragione: la qual però, dicea loro, che non mai avrebbero assai bene intesa, se rivolgendo in molte maniere le idee, che cadono nella questione, obbiettando, e rispondendo, come si fa nelle dispute, non si fossero sforzati di ben formarle nell'animo, ed anche di bene esprimerle con le parole. Non volendo egli poi fermarsi a que' termini, ove vedea, che si fermavano gli altri, non dubitò di essere il primo ad introdurre nelle scuole di Filosofia la spiegazione de' vortici di Des Cartes, e quella della luce, e dei colori, e delle leggi del moto; cose che a quel tempo erano in Bologna affatto nuove. Essendosi poi dopo alquanti anni divulgato in Bologna il grido di Newton, a questo ancor si rivolse, e formata avendo altissima stima di quel gran Filosofo, cominciò egli il primo a spiegar nelle scuole l'attrazione de' corpi celesti, la diversa refrangibilità de' raggi, e la costanza dei colori; volendo che i suoi discepoli s'appigliassero poi a quel sistema, che loro paresse più vero, condotti dalla ragione, non dall'usanza, e dal capriccio. E fu egli, che insinuò al Conte Algarotti, il quale era allora suo discepolo, di fare quelle esperienze della luce, e dei colori, che poi pubblicaronsi l'anno 1731 negli Atti dell'Accademia dell'Instituto, e furon le prime, che mostrassero in Italia verità del sistema Newtoniano intorno a' colori.
Ma tornando alquanti anni addietro, fu consegnata al Zanotti la Biblioteca dell'Instituto, la quale era a quel tempo, senza niuna comparazione molto minore, che ora non è. Fece due indici, che mancavano, assai comodi a ritrovar subito qual libro ciascun volesse. Lasciò prestamente quella briga. Del 1723 fu fatto Secretario dell'Instituto, succedendo a Matteo Bazzani, uomo di singolar dottrina, il quale di Secretario era stato fatto presidente. Allora entrò quell'Accademia in gran desiderio, che si scrivessero gli atti suoi, e di tanto in tanto si pubblicassero, come vediam farsi da altre Accademie. Ne diede dunque la cura al Zanotti, il quale ne fece poi otto Volumi, e più ancora ne avrebbe fatti, se non gli fosse convenuto di accomodarsi alla lentezza degli Accademici, troppo maggiore, che egli non avrebbe voluto. Di questi Atti quali siano, e come si componessero, diremo più avanti, ove riferiremo delle Opere principali, che uscirono, del Zanotti; nel qual luogo s'intenderà ancora d'alcuni viaggi, che egli fece, ed amicizie illustri, che ebbe.
Finalmente nel 1766 essendo morto il chiarissimo Signor Jacopo Beccari, che nel Presidentato era già succeduto al Bazzani, creato fu Presidente Francesco Maria Zanotti. E quantunque la prima intenzione degl'Illustrissimi, ed Eccelsi Senatori fosse, che egli tuttavia ritenesse anche il posto di Secretario, egli non potè mai consentirvi, desiderando, che fosse fatto Secretario il Signor Sebastiano Canterzani, scrittore molto elegante, e nella Filosofia, e in tutte le matematiche Scienze versatissimo. L'Illustrissimo, ed Eccelso Senato, che assai conosceva il merito di questo valente Professore, creò ad un tempo Presidente il Zanotti, e Secretario il Canterzani.
Questa carica fu da lui sostenuta con tutta la dignità, e la moderazione di un vero Filosofo, massime nella congiuntura d'alcune fastidiose dispute insorte nell'Accademia di niente più curante, che della continuazione dell'antica gloria della medesima, per qualunque mezzo, o sistema questa poi le potesse derivare.
Sempre fu prontissimo ad intervenire all'Accademia Filosofica, ed ivi ogni anno leggere la sua disertazione, e di queste disertazioni, che erano o di Matematica, o di Filosofia, contenevano la più sublime dottrina, ed i più fini, ed astrusi calcoli; e ciò usò sempre fino alla sera dei 13 di Novembre dell'anno scaduto 1777, nella qual sera comparve con tal vivezza, che prometteva all'Accademia per assai più lungo tempo il piacere di averlo fra suoi, ed ascoltarlo.

La sua vecchiezza era sempre stata felice, trattone il trovarsi alcuna volta afflitto da una molesta flussione alle orecchie, che lo privava dell'udito, il che lo gittava in una estrema melanconia, ma riavutosi ritornava quello di prima: finchè sul terminar di quest'anno sorpreso da infreddatura, che sul principio disprezzò affatto, non ascoltando le preghiere degli amici, perché la curasse, continuando nel sortir di casa, e nelle sue applicazioni, ne fu finalmente così sopraffatto, che gli convenne porsi in letto con febbre, ed ingombramento di petto, che si fece maggiore per non avere mai avuto l'uso di espettorare, scherzando che si volesse consigliare ad addestrarsi a fare in quell'età, ciò che non aveva mai fatto in vita sua; sicchè si ridusse all' estremo de' suoi giorni con tal limpidezza di mente, con tanta rassegnazione di Spirito, con tal presenza a se stesso nel ricevere gli ultimi Sacramenti della Chiesa, che il Dottore Teologo, e Priore Rusconi suo Parroco nel compiere il suo ministero in quegli estremi, ebbe a dire di rimanerne edificatissimo; e potè quinci ogni altro comprendere, che il Filosofo Cristiano, aiutato dalla grazia celeste, sa trarre dalla sua Filosofia de' fortissimi aiuti per ben morire.
Spirò placidamente l'anima il nostro Francesco Zanotti in età di 85 anni li 25 Decembre dell'anno scorso 1777 dopo 11 giorni di malattia, lasciando dolente tutta la sua famiglia, e particolarmente il Dottore Eustachio Zanotti suo Nipote figlio di Gio. Pietro, che seguendo l'orme del Zio Lettore nel pubblico studio di Matematica, Astronomo dell' Instituto, Accademico Benedettino, ha reso illustre in Italia, e di là da' monti colle sue Opere la nostra Specula, e degnamente conserva fra noi il nome di così illustre Famiglia, e per destinazione dell' Eccelso Senato è stato prescelto ad occupare la vacata carica di Presidente dell'Instituto in luogo del Zio.
Ebbe sepoltura il cadavere di Francesco nella Chiesa Priorale di S. Maria Maddalena sua Parrocchia, ed intervenne all'esequie l'Accademia Benedettina, e numerosissimo concorso d'ogni ordine della Città.