Guido Horn d'Arturo (1879-1967)

Guido Horn nacque a Trieste nel 1879 (lo stesso anno di Albert Einstein), da una famiglia ebrea: il nonno Raffaele Sabato Melli era il rabbino della città. La formazione culturale mitteleuropea, gli umori della Trieste di Svevo, austroungarica eppure profondamente italiana, che diede i natali, poco dopo, a Saba, a Slataper, a Stuparich, contribuirono a definire la personalità di Guido, un intellettuale dai molteplici interessi, sempre pronto ad aprirsi al nuovo.
Gli studi di Guido Horn proseguirono – secondo una prassi comune alla borghesia triestina – a Graz e poi a Vienna, dove si laureò nel 1902 con una tesi sulle orbite cometarie. Anche Vienna, a cavallo tra i due secoli, offriva un ambiente culturale ricco di stimoli, quasi lo specchio di un’Europa in rapido cambiamento; se la pittura scopre la Secessione, il teatro conosce Schnitzler e la musica la rivoluzione dodecafonica, mentre l’insegnamento freudiano cambia il rapporto tra l’uomo e se stesso.
Lo scoppio della prima Guerra Mondiale colse Horn trentaseienne, avviato ad una brillante carriera accademica, che coraggiosamente abbandonò per arruolarsi in artiglieria, sul Carso. Combatté sul versante italiano del fronte e, per evitare la condanna a morte per tradimento dell’aquila asburgica, cambiò il cognome in D’Arturo, in omaggio al padre. Al congedo, decorato con la croce di guerra, aggiunse quel nome al proprio, divenendo Guido Horn d’Arturo.
Horn fu chiamato nel 1921 alla direzione dell’Osservatorio Astronomico universitario e alla cattedra di Astronomia di Bologna, la città da cui intraprese le innumerevoli sfide professionali che costellarono la sua carriera.
La prima fu costituita dalla spedizione italiana che, guidata dall’astronomo triestino e da Luigi Taffara, nel 1926 si recò nell’ Oltregiuba (odierna Somalia) per osservare un’eclisse totale di Sole. La missione, che i mezzi dell’epoca rendevano avventurosa, si risolse in un successo. L’esame della corona solare rivelò, infatti, fenomeni di turbolenza che Horn d’Arturo correttamente seppe interpretare: trent’anni dopo le sue teorie furono confermate dagli studi sulla scintillazione stellare presso il Perkins Observatory.
La promozione dell’osservatorio bolognese lo vide attivo non solo nel rinnovamento strumentale, che lo portò a costruire la sede extraurbana di Loiano e lo specchio a tasselli, ma anche nella divulgazione dell’astronomia e nella diffusione dei risultati scientifici ottenuti. Infatti, Horn d’Arturo diede vita alla serie delle Pubblicazioni dell’Osservatorio Astronomico Universitario che, inviate in scamb= io agli Osservatori di tutto il mondo, crearono all’Istituto una fitta rete di relazioni internazionali.
Coelum fondata nel 1931 e diretta da Horn fino alla morte, nel 1967, fu la prima rivista in Italia a proporre la divulgazione dell’astronomia, sempre ad alto livello: alla rivista collaborarono i maggiori astronomi dell’epoca, quali Luigi Jacchia, Livio Gratton, Leonida Rosino, Giovan Battista Lacchini, Piero Tempesti, Paolo Maffei e molti altri, ma vi comparvero anche i contributi di astrofili. Coelum, che pubblicava ogni anno un Almanacco astronomico, uscì per oltre cinquant’anni, fino al 1986, con il sostegno degli abbonamenti e degli inserzionisti.
L’avventura bolognese si interromperà per sette lunghi anni quando, ormai sessantenne, la follia razzista lo caccerà dal suo Osservatorio, fino a quando, nel dopoguerra, fu reintegrato nell’incarico e nell’abitazione, all’interno dell’Osservatorio stesso.
Guido Horn d’Arturo morì nel 1967, circondato dall’affetto di parenti, allievi ed amici; tra gli altri, si ricorda il pittore Giorgio Morandi, che con lui giocava lunghe partite a scacchi nella torre della Specola.

Marina Zuccoli