L'Italia negli anni trenta

Negli anni Trenta il fascismo aveva portato a termine la costruzione della dittatura attraverso il rafforzamento autoritario dello stato e l'abolizione delle libertà fondamentali.
I giornalisti scrivevano gli articoli applicando le direttive del governo contenute nelle famose "veline". Alle elezioni si era sostituito il plebiscito (1932) in cui la popolazione veniva mobilitata per mostrare la sua adesione al regime.
L'antifascismo operava in clandestinità, ma incontrava difficoltà a superare i controlli della polizia fascista. La repressione colpiva non solo gli attivisti politici, ma, attraverso il reato di vilipendio al capo del Governo, anche tutti coloro che osavano criticare Mussolini. Si può dire che il regime si fosse consolidato, ma non solo per la repressione. Vi era anche un certo consenso diffuso tra alcuni strati " soprattutto borghesi " della popolazione. Solo in parte questo atteggiamento era però aperta adesione al fascismo, più spesso era semplice accettazione del nuovo stato, mediata dalla lealtà monarchica o da un senso di continuità della nazione.
Tra gli operai, invece, diffidenza e ostilità verso il regime continuavano ad essere diffuse e a preoccupare la polizia fascista. I fascisti si rendevano conto dei limiti di tale consolidamento nel momento stesso in cui, reclamando una più marcata fascistizzazione del paese, guardavano con speranza ai giovani. Si pensava che solo la cosiddetta generazione di Mussolini — liberata della "vecchia" mentalità liberale — potesse realizzare compiutamente l'ideale fascista e per questa ragione furono intensificati l'inquadramento e l'indottrinamento dei giovani, culminati nel ’37 nella nascita della Gioventù Italiana del Littorio che riunì tutte le precedenti organizzazioni giovanili fasciste.
Ai Giovani Universitari dei GUF fu perfino concesso un certo grado di critica al fine di poter creare una nuova élite fascista. Nella pratica, questo obiettivo restò sulla carta. Non vi fu per i giovani alcun percorso privilegiato verso la classe dirigente e tra le file degli universitari cominciarono a serpeggiare sentimenti di delusione verso il regime. Con la crisi del ’29, le debolezze del sistema creditizio e produttivo spinsero il regime a intervenire nel salvataggio delle imprese in crisi attraverso l’ IRI. Parallelamente, il corporativismo, presunta terza via tra capitalismo e comunismo, alimentò per tutto il decennio una cospicua produzione legislativa e dottrinale e un aumento delle burocrazie senza dar vita all'auspicata nuova economia fascista.
Alla fine degli anni Trenta, il fascismo intensificò il controllo totalitario sulla società e rafforzò i rapporti con la Germania nazista, costruendo un’alleanza militare e politica di cui la ricezione della legislazione antisemita e l’entrata in guerra furono le conseguenze. Avvisaglie già se ne erano avute a metà del decennio in occasione della guerra d’Africa – seguita dalle “sanzioni economiche” decretate nel ’35 dalla Società delle Nazioni – e della guerra di Spagna.
Se la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’Impero, il 9 maggio 1936, erano sembrati l’apice del successo fascista, vari segnali testimoniano come già allora e ancor più in seguito si rafforzassero timori e preoccupazioni nella popolazione e crescesse, soprattutto tra i giovani, l’insofferenza verso il regime.
A questi segni di crisi, acuitisi durante la guerra, il regime non poté rispondere adeguatamente perché il partito, trasformato in un’efficiente macchina di formazione del consenso per mezzo di parate e di funzioni assistenziali in tempo di pace, non fu in grado di mobilitare attivamente la popolazione durante la guerra.

Stefano Cavazza