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L’aberrazione annua della luce
Claudio
Elidoro
A
chi non è mai capitato di dover fare i conti con la fretta in una giornata
piovosa? Se
non siete tra i fortunati che non sanno di cosa stia parlando, certamente
avrete ben presente che, per evitare di bagnarsi più del necessario, si è
costretti ad inclinare in avanti l’ombrello. E quanto più si allunga il
passo, tanto più l’ombrello deve essere abbassato.
Dal
punto di vista fisico la faccenda si può spiegare ricorrendo alla
composizione del moto: le gocce d’acqua scendono verticalmente
(evitiamo di complicarci la vita con la presenza del vento) ed i malcapitati
passanti si muovono orizzontalmente. Per chi sta reggendo l’ombrello il
risultato è che le gocce di pioggia sembrano provenire da una direzione
obliqua (vedi fig. 1). Una
cosa molto simile capita all’osservatore terrestre che guarda le stelle
in cielo. Anche in questo caso possiamo identificare un moto
‘verticale’ (quello della luce che ci proviene dalle stelle) ed
un moto ‘orizzontale’ (quello della Terra che sta orbitando
intorno al Sole). Dato che abbiamo a che fare con la luce, la teoria della
relatività ci dice che non possiamo applicare le regole classiche di
composizione del moto, ma questo non impedisce che, se vogliamo osservare una
stella, dobbiamo comunque inclinare il nostro telescopio. In queste pagine
considereremo solo l’approssimazione newtoniana
al problema, escludendo le ‘complicazioni’ relativistiche. La
scoperta di questo fenomeno risale al 1728. Erano gli anni in cui uno dei
problemi chiave della scienza astronomica era la determinazione delle
distanze delle stelle. Poiché il metodo impiegato era quello trigonometrico
(misura della parallasse) era indispensabile ottenere misure accuratissime
delle posizioni. Si tenga presente che l’angolo di parallasse p è
veramente piccolo, non solo assolutamente al di fuori della valutazione
dell’occhio umano, ma inaccessibile anche ai
migliori telescopi dell’epoca (fig. 2). Il fatto che non si riuscisse
per nessuna stella a individuare la parallasse era un’ottima carta in
mano ai detrattori della teoria Copernicana, la prova tangibile
dell’immobilità della Terra nel cosmo. Il problema di fondo, però, e lo
stesso Galilei lo aveva intuito, era che si doveva
rilevare un angolo veramente esiguo. Un esempio numerico può aiutare a
comprendere la situazione. La stella con parallasse p più
grande è quella più vicina a noi. Si tratta di a Centauri, un astro situato a poco più di 4 anni luce dal
Sole. Ebbene, la parallasse di questa stella è solamente di 0,760 secondi
d’arco, una vera inezia.
Per
i sostenitori della teoria eliocentrica, dunque, diventava di fondamentale
importanza dimostrare che la misura della parallasse non era un’utopia.
Tra gli scienziati impegnati in questa impresa vi era anche l’inglese James Bradley, professore ad
Oxford ed astronomo all’Osservatorio di Greenwich.
Le sue osservazioni si erano concentrate su g Draconis, nota anche
con il nome arabo di Al Ras al tannin
(“la testa del drago”) o, più semplicemente, Eltanin.
Analizzando le sue misurazioni, Bradley si accorse
che nel corso dell’anno la posizione di quella stella era
caratterizzata da un continuo spostamento fino ad un massimo di 20,5 secondi
d’arco. Il modo in cui variava la posizione della stella nel corso
dell’anno sembrava contraddire quanto previsto dalla geometria della
parallasse. Si
trattava dunque di scoprirne la causa. Scartata l’ipotesi che quella
variazione nella posizione apparente di g Draconis fosse dovuta ad effetto di parallasse, l’idea
iniziale di Bradley fu la presenza di errori
strumentali, suggerita anche dal fatto che quello strano spostamento si
mostrava comune ad altre stelle. Verificata con meticolosità
l’affidabilità della strumentazione impiegata, l’astronomo
inglese ebbe l’intuizione giusta: quello che si stava osservando era il
risultato della composizione del moto della luce proveniente dalle stelle con
il moto della Terra intorno al Sole. Servita su un vassoio d’argento,
l’astronomia del XVIII secolo aveva a disposizione una
inaspettata e schiacciante prova della correttezza delle idee
copernicane. Il
fenomeno scoperto da Bradley è conosciuto con il
nome di aberrazione annua della luce e, ancora oggi, costituisce una
delle prove fondamentali e dirette della rivoluzione terrestre intorno al
Sole. Il termine aberrazione deriva dal
titolo del libro dell’astronomo bolognese Eustachio Manfredi ‑ De
annuis inerrantium stellarum aberrationibus ‑ che per
primo confermò con le osservazioni di 90 stelle l’ipotesi di Bradley. Facciamo
riferimento alla fig. 3 per chiarire meglio il fenomeno.
Se
l’osservatore in O fosse immobile, vedrebbe la stella S proiettata
sulla volta celeste nel punto S’ (direzione
vera). Il raggio luminoso, infatti, seguirebbe il percorso SO. Ma
l’osservatore si sta muovendo e, nel tempo impiegato dalla luce a
percorrere il tratto dalla stella in S’ ad O,
si è spostato in O’. Questo significa che il
telescopio non è più puntato lungo la direzione OC, bensì lungo O’C’ e in conseguenza di ciò
l’osservatore non può vedere la stella. Per rimediare a questo fatto lo
strumento dovrebbe essere disposto lungo la retta O”C. Questo fa sì
che, mentre la luce percorre il tratto da S’
ad O, l’osservatore si sposta da O” in O e può così intercettare
il raggio luminoso della stella. In pratica, però, l’allineamento del
telescopio risulta essere inclinato verso la direzione del moto e la stella
viene “vista” sulla volta celeste come se fosse nel punto
S” (direzione apparente).
L’angolo COC’ rappresenta dunque la deviazione apparente della
posizione della stella dovuta all’aberrazione della luce ed è dunque
chiamato angolo di aberrazione. La
sua ampiezza dipende dalle due velocità in gioco, quella della luce e quella
della Terra. Poiché l’oscillazione annuale individuata da Bradley è strettamente legata al moto orbitale della
Terra, risente anche del fatto che nel corso dell’anno la direzione di
questo moto cambia. Questo comporta che la posizione osservata di una stella
descriva un’ellisse intorno alla sua posizione vera. Le
ellissi di aberrazione, inoltre, sono sempre più schiacciate
man mano che si osservano delle stelle più lontane dal polo
dell’orbita terrestre, fino a diventare semplici segmenti nel caso di
stelle poste sul piano dell’orbita (piano dell’eclittica). Il
valore di 20,50 secondi d’arco trovato da Bradley
per l’angolo di aberrazione è facilmente verificabile risolvendo
trigonometricamente un triangolo rettangolo i cui cateti sono,
rispettivamente, la velocità della luce e la velocità di rivoluzione della
Terra (si vedano a questo proposito i calcoli proposti
nell’approfondimento). Giunti
al termine di questa esposizione è doveroso ricordare ancora che sono stati
evitati calcoli relativistici. Inoltre, sottolineiamo che si è accennato
unicamente alle conseguenze del moto di rivoluzione intorno al Sole
(aberrazione annua della luce), esistendo anche una aberrazione
diurna dovuta al moto di rotazione terrestre, ma di dimensioni molto
inferiori ed un’ulteriore aberrazione, detta sistematica;
originata dal moto del Sistema solare. È quindi evidente che per una
trattazione più rigorosa sarebbe necessario mettere in conto anche gli altri
movimenti compiuti dal nostro pianeta nonché le regole di composizione delle
velocità previste dalla relatività.
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