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Il
gas intergalattico contenuto negli ammassi di galassie possiede temperature
dell’ordine 107<T<108 K, ed è quindi
altamente ionizzato.
Gli elettroni sono dunque slegati dai nuclei e si muovono liberamente. E' noto dall’elettromagnetismo che una particella carica emette radiazione ogni volta che viene accelerata. Pertanto un elettrone emette radiazione ogni volta che "urta" uno ione, ovvero passa sufficientemente vicino ad un nucleo atomico: in questo caso, infatti, l’elettrone deflette dalla propria orbita rettilinea a causa dell’accelerazione dovuta alla forza elettrica che si esercita tra nucleo ed elettrone. Maggiore è il numero di urti nell’unità di tempo, maggiore è l’intensità della radiazione emessa. Se la densità degli ioni è pari ad ni, questo significa che, all’interno di un cm3, ogni singolo elettrone emette una quantità di radiazione proporzionale a ni urti. La radiazione totale si ottiene moltiplicando per il numero totale n~ni degli elettroni presenti nel cm3, e risulta dunque proporzionale al quadrato della densità, n2. Finalmente, l’intensità totale di radiazione proveniente dal gas dell’ammasso lungo la linea di vista si ottiene sommando i contributi di tutti gli elementi di volume allineati sul diametro dell’ammasso lungo tale direzione:
dove
L rappresenta il raggio dell’ammasso (assunto sferico).
Questa formula è stata ottenuta assumendo una distribuzione uniforme di gas all’interno dell’ammasso. Una simile assunzione è irrealistica perché il gas tende a concentrarsi verso il centro dell’ammasso della galassia e la densità è dunque una funzione decrescente del raggio L dell’ammasso. La formula corretta è dunque: Tuttavia
a noi qui preme evidenziare la logica generale, trascurando le difficoltà
tecniche, e nel seguito faremo riferimento all'equazione (1).
Ma
gli elettroni del gas intergalattico, oltre a collidere con gli ioni emettendo
radiazione X, interagiscono con i fotoni della radiazione cosmica di fondo.
Alcuni
avranno frequenze minori, ed altri maggiori (la curva continua nella figura
1 mostra come sono distribuiti i fotoni in funzione della frequenza, ovvero
il numero di fotoni di ogni frequenza presenti in un cm3).
Succede allora che, urtando con gli elettroni, i fotoni meno energetici acquistano energia aumentando la propria frequenza, mentre il contrario accade per i fotoni di alta frequenza. I due effetti tuttavia non si bilanciano, e il risultato finale netto è una diminuzione di fotoni a basse frequenze ed un aumento alle alte frequenze (linea tratteggiata nella figura 2). La frequenza critica a cui l’effetto si inverte è pari a circa 217 GHz (1 Ghz=109 Hz) e cade nell’intervallo delle onde radio. I radiotelescopi operano in genere a frequenze inferiori (decine di GHz) e percepiscono dunque la radiazione di fondo nell’intervallo di frequenze in cui l’effetto Compton inverso opera un decremento nel numero di fotoni, e dunque nell’intensità della radiazione di fondo. Pertanto, misurando l’intensità della radiazione di fondo a queste frequenze in direzione di un ammasso di galassie, essa risulterà diminuita di una quantità ![]() Ovviamente, in analogia a quanto detto prima, questo decremento è proporzionale al prodotto del numero di elettroni e di fotoni e alla profondità dell’ammasso. Dal momento che la radiazione di fondo è omogenea ed isotropa, il numero di fotoni è sempre lo stesso in ogni direzione, e può essere considerato costante. Pertanto otteniamo:
Con
osservazioni congiunte di raggi X e onde radio è possibile misurare
Ix e
![]() Di conseguenza, si ricava anche la massa del gas M ![]() Inoltre, dall’immagine ai raggi X del gas caldo è possibile misurare l’angolo ![]() Ma questo angolo è pari a ![]() ![]() ![]() La
misura delle distanze degli ammassi è molto importante a livello
cosmologico per la determinazione della costante di Hubble Ho
che, com’è noto, dà una misura del tasso di espansione dell’universo
e della sua età.
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