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Frattali
Annibale
D'Ercole
Osservatorio
Astronomico - Bologna
Le forme della geometria
classica sono linee e piani, cerchi e sfere, triangoli e coni. Esse
rappresentano una forte astrazione della realtà, ed Euclide le utilizzò per
costruire una geometria che è durata duemila anni. Fino agli inizi del XX secolo gli astronomi costruirono su di esse una teoria dell’universo. Ma per la
comprensione della complessità esse risultano essere il tipo di astrazione
sbagliato. Le nubi non sono sfere, le montagne non sono coni. Le linee
spezzate ed i grovigli non sono imperfezioni che distorcono le forme
classiche della geometria euclidea. Sono spesso le
chiavi dell’essenza di una cosa. Qual è, ad esempio, l’essenza di
una linea costiera? La sua lunghezza dipende dalle dimensioni del righello
con cui si misura. Se misuriamo la lunghezza di una costa con un righello di
un metro, tutte le anse e le curve più corte verranno
trascurate, e il risultato finale sarà solo un’approssimazione della
lunghezza vera. Intuitivamente, siamo portati a pensare che, utilizzando
righelli sempre più corti, otterremo misure sempre più accurate della
lunghezza “vera”. In verità, con righelli più corti misuriamo un
maggior numero di anfratti e otteniamo valori sempre maggiori della
lunghezza. Questo procedimento converge a un numero finale nel caso si misuri
una figura euclidea “liscia” come, ad
esempio, un cerchio. Ma nel caso di una linea costiera la lunghezza tende
all’infinito perché baie e penisole contengono innumerevoli sotto-baie
e sotto-penisole. Fig. 1. Fiocco di neve di Koch. Figure geometriche con
questo strano comportamento erano già note ai matematici più di cento anni
fa. Si consideri ad esempio il “fiocco di neve” di von Koch che si ottiene come
segue: si prende un triangolo equilatero e si taglia ogni suo lato in tre
parti; ognuno dei segmenti centrali così ottenuti viene
sostituito con due segmenti uguali a quello eliminato; si ripete l’operazione
per ciascuno dei segmenti presenti e si continua a ripeterla per un numero
infinito di volte. A ogni iterazione, la lunghezza della curva cresce di un
fattore 4/3: se il lato del triangolo di partenza ha lunghezza pari a 1, dopo
il primo passo misura 4/3, dopo il terzo 16/9, dopo il quarto 64/27 e così
via. Questa successione è chiaramente divergente, cioè
tende ad assumere un valore infinito. La straordinarietà del fiocco di
neve consiste nel fatto che, nonostante il suo perimetro sia infinito, la sua
area è finita e certamente inferiore a quella del cerchio che circoscrive il
fiocco di neve contenendolo interamente (ovvero il cerchio che passa per i
vertici del triangolo di partenza). Ma non è tutto: ogni tratto del fiocco di
neve, anche piccolissimo, gode della proprietà dell'autosimilitudine, cioè contiene in sé un’infinita
ricchezza di particolari, di minuscoli triangolini,
ed è quindi anch’esso di lunghezza infinita. Quest’ultima
particolarità implica una proprietà straordinaria della linea che delimita il
fiocco di neve: essa ha una dimensione frazionaria
compresa tra 1 e Le due caratteristiche summenzionate — l’autosimilitudine e l’infinita distanza tra due
punti qualunque sulla curva (se misurata lungo la curva stessa), implicante
una dimensione frazionaria — individuano una curva frattale. Il nome deriva dal
latino fractus
(spezzato, frantumato) e, nel 1975, è stato attribuito a questi oggetti
geometrici da Benoit Mandelbrot,
il matematico che riprese in anni più recenti lo studio di
questi “mostri matematici” che nel frattempo erano stati
parzialmente dimenticati. Mandelbrot ricevette un
sostegno insostituibile dall’avvento dei calcolatori che permettono di eseguire, in tempi brevi, le numerose
iterazioni associate ai frattali; in ogni caso ebbe l’indubbio merito
di capire che i frattali, lungi dall’essere pure forme matematiche
astratte, si ritrovano con una certa frequenza nella natura che ci circonda.
Dalla forma del cervello a quella delle diramazioni dei dendriti
nervosi, dal profilo frastagliato delle foglie allo schema di sviluppo dei
coralli, dalla forma dei fulmini alle linee di frattura dei materiali da
costruzione, dal rumore nei circuiti elettrici all’andamento temporale
del prezzo delle merci, fino ai profili di nubi e montagne, tutto sembra
essere frattale. Fig. 2. La felce frattale si ottiene
ripetendo un gran numero di volte la trasformazione mostrata in figura: ogni
rettangolo è rimpiazzato da tre rettangoli più piccoli e uno è ridotto a un
segmento, piazzato come mostrato in figura. Questa ubiquità dei frattali li ha resi utili strumenti di indagine
scientifica (abbiamo ad esempio accennato, in un numero precedente, alla
connessione tra sistemi caotici e frattali) con ricadute pratiche nei campi
più svariati. Ad esempio, la forma complessa di una foglia di felce può
essere descritta compiutamente da un algoritmo simile a quella del fiocco di
neve di Koch (benché più complesso) basato su 24
numeri soltanto. Viceversa, per rappresentare l’immagine della felce,
punto per punto, con una qualità dell’immagine televisiva, ci
vorrebbero centinaia di migliaia di valori numerici. Questo ci permette di
capire come tutta l’informazione in codice per la formazione di una
felce possa essere contenuta in una spora. Inoltre,
questa particolarità è di grande interesse pratico, perché permette la
compressione delle immagini con metodi frattali: la possibilità di inviare i
pochi dati numerici necessari a ricostruire un’immagine tramite una
semplice regola ricorsiva, piuttosto che le
informazioni relative ad ogni pixel dell’immagine stessa, rappresenta
un risparmio di tempo rilevante e l’eliminazione pressoché totale di
errori. In molti film fantasy o di fantascienza la
ricostruzione fantastica di fondali o panorami avviene proprio tramite lo
sviluppo di frattali. Si possono creare paesaggi frattali con il metodo dello
spostamento dei punti medi. I punti medi dei lati di un triangolo vengono uniti da segmenti e spostati in su o in giù, fuori
dal piano dell’immagine; si ottengono così quattro piccoli triangoli su
cui si ripete il procedimento. L’entità dello spostamento è casuale e
il suo valore massimo, deciso a priori, determina la scabrosità del terreno
frattale. Fig. 3. Costruzione di una montagna
frattale.
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