La fionda gravitazionale
Annibale D'Ercole
Osservatorio Astronomico - Bologna

Supponiamo di legare una pietra a una estremità di una corda e di farla roteare sopra la nostra testa impugnando l’altra estremità. Se ad un certo punto lasciamo la corda, la pietra si allontanerà con una velocità pari a quella con cui stava ruotando. Immaginiamo, ora, di ripetere lo stesso esperimento stando in piedi su una macchina scoperta in moto; se lasciata andare al momento opportuno, la pietra si muoverà con una velocità pari a quella di rotazione più quella dell’automobile. Noi facciamo sempre la stessa fatica e la maggiore velocità è fornita a spese dell’auto. Questo esperimento è talmente semplice da apparire banale. Eppure c’è voluto l’ingegnoso intuito dello scienziato italiano Giuseppe Colombo per capire che qualcosa di simile si poteva applicare alle sonde lanciate nello spazio, ottenendo un notevole risparmio di carburante.

Una sonda che si avvicini a un pianeta defletterà dalla propria traiettoria a causa della gravità di quest’ultimo e si allontanerà lungo una direzione diversa da quella di arrivo (si veda la Fig. 1).

 

 Fig. 1.

 

Se il pianeta fosse fermo, la sonda accelererebbe fin tanto che si avvicina, poi rallenterebbe ed infine se ne andrebbe con una velocità pari a quella di avvicinamento. Per certi versi la situazione è analoga a quella in cui un ciclista, nel superare un dosso, dapprima accelera in discesa e poi rallenta nella salita successiva, per poi allontanarsi con la stessa velocità con cui era arrivato. Se però il pianeta si muove – come effettivamente è il caso – in opportune condizioni, la sonda può allontanarsi ad una velocità maggiore di quella con cui si è avvicinata. In effetti, da un certo punto di vista, la sonda che gira attorno al pianeta ricorda la pietra che gira attorno al nostro pugno; analogamente a quest’ultima, la maggiore velocità della sonda deriva dalla “spinta” fornita dal pianeta, e avviene senza consumare carburante. Dunque il pianeta “afferra” la sonda e la rilancia fornendogli energia: per analogia con l’esempio della pietra, questo meccanismo viene detto fionda gravitazionale.

Nell’accelerare la sonda il pianeta fornisce parte della sua energia, rallentando il proprio moto. Tuttavia, a causa dell’enorme disparità tra la massa della sonda e quella del pianeta, quest’ultimo rallenta in maniera impercettibile e possiamo dire che continua a muoversi come se niente fosse successo. Lo stesso accade se calciamo un pallone frontalmente contro un camion in arrivo: il pallone rimbalza con una velocità molto superiore a quella iniziale, mentre il camion avanza con velocità sostanzialmente immutata (in effetti il camion è mosso dal motore, ma otterremmo lo stesso risultato anche se il camion, una volta raggiunta una certa velocità, continuasse poi per inerzia a motore spento).

Grazie alla fionda gravitazionale è quindi possibile imprimere una notevole velocità alle sonde realizzando un sostanziale risparmio di carburante (in verità è anche possibile rallentare una sonda scegliendo opportunamente la traiettoria di avvicinamento al pianeta). Pertanto, la spinta gravitazionale è stata utilizzata numerose volte in occasione delle missioni spaziali. Il Pioneer 10 è stato la prima sonda a sperimentare questa spinta. Nel dicembre del 1973 si è avvicinato a Giove, il più grande pianeta del Sistema solare, viaggiando ad una velocità di 9,8 km/s. A seguito di questo incontro la sonda è stata scagliata a 22,4 km/s nelle profondità dello spazio.

Una spinta gravitazionale straordinaria è stata realizzata in occasione della missione esa/nasa Ulisse, per riuscire ad osservare le regioni polari del Sole, che non sono visibili da Terra. Nell’ottobre 1990 la sonda Ulisse è stata lanciata dalla Terra verso Giove. Da quest’ultimo ha ricevuto una spinta che gli ha permesso di sollevarsi dal piano orbitale dei pianeti e di porsi su una traiettoria che è passata sopra al polo sud del Sole nel 1994 e 13 mesi dopo sul polo nord.

 


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