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Il “limite di Eddington”
Annibale
D'Ercole
Osservatorio
Astronomico - Bologna
È noto che la radiazione è
in grado di esercitare una pressione proprio come un gas. Così come,
soffiando contro il fumo di una sigaretta, le particelle del
“vento” urtano contro quelle del fumo, esercitando una pressione
che costringe il fumo a seguire il soffio, parimenti, la radiazione del Sole
agisce come un “vento” di fotoni sulla coda delle comete che,
infatti, puntano sempre in direzione opposta a quella del Sole (in realtà, in
quest’esempio la situazione è complicata dal fatto che anche il vento
solare, composto da particelle materiali, agisce
sulla coda delle comete; tuttavia, il contributo della radiazione è
chiaramente distinguibile). Nella vita quotidiana, la pressione di radiazione
è assolutamente trascurabile, ma può risultare determinante in alcune
situazioni astrofisiche, ponendo un limite — il cosiddetto «limite di Eddington»
— alla luminosità delle sorgenti come nel caso delle stelle e
dei quasar. Le
stelle sono sfere di gas in equilibrio idrostatico nel cui centro le
temperature e le densità sono così elevate da attivare reazioni nucleari. Se
suddividiamo idealmente una stella in tanti gusci sferici concentrici, ogni
guscio è sottoposto a due forze opposte: da un lato tende a collassare verso il centro a causa della gravità,
dall’altro esso viene spinto verso
l’esterno dalla pressione del gas. I due effetti si bilanciano e la
stella rimane in equilibrio. In genere, la pressione che si oppone al
collasso gravitazionale è data dalla pressione termica del gas (scaldato
dalle reazioni nucleari). Tuttavia, al crescere della massa stellare aumenta
l’intensità delle reazioni nucleari (perché maggiori sono le densità e
le temperature al centro) e dunque, in ultima analisi, maggiore è la
radiazione prodotta. La pressione di radiazione cresce con la luminosità, la
quale, a sua volta, cresce rapidamente con la massa (più rapidamente di
quanto non cresca la gravità). Dunque, per stelle particolarmente massicce,
la pressione di radiazione diventa importante, al punto da riuscire a
prendere il sopravvento sulla gravità e disgregare la stella. Si valuta che
la luminosità di Eddington, ovvero la luminosità a cui la pressione di radiazione controbilancia la
gravità, viene raggiunta per stelle con massa pari a 300 masse solari. Stelle
con masse superiori non possono esistere. Le stelle molto
massicce sono assai rare e la loro massa è difficile da valutare. Comunque
non si sono mai osservate stelle più pesanti di 150
masse solari, dimostrando che il limite di Eddington
rappresenta un valido limite superiore alla massa stellare. Un altro campo in
cui il limite di Eddington trova un’utile
applicazione riguarda i quasar. Questi sono sorgenti astronomiche tra le più
luminose e hanno sede nel centro di alcune galassie. Gli astrofisici
ritengono che il motore dei quasar sia composto da
un oggetto centrale su cui accresce per gravità il gas circostante. Nel suo
moto radiale verso il centro il gas si concentra in un volume sempre più
piccolo, creando un “ingorgo” in cui rallenta e si comprime;
l’energia cinetica di caduta viene così trasformata
in calore e radiazione. Al crescere della massa dell’oggetto centrale
aumenta la gravità e dunque la quantità di gas che può essere accresciuta ad
ogni istante, e con essa la luminosità prodotta. Ma,
per quanto detto all’inizio, con la luminosità cresce anche la
pressione di radiazione che, se troppo alta, impedisce al gas di cadere, e
anzi lo soffia via, “spegnendo” la sorgente. Esiste, quindi, una
luminosità massima oltre la quale un oggetto centrale di data massa non può
emettere: questa luminosità è detta «luminosità di Eddington».
Ma questo argomento può anche essere ribaltato: una sorgente di data
luminosità deve avere una massa minima detta «massa di Eddington».
Una massa inferiore produrrebbe una gravità insufficiente a contrastare la
pressione di radiazione derivante dalla luminosità data. Ora,
un quasar emette tipicamente una luminosità pari a cento volte quella della
nostra galassia. A questa luminosità — proveniente da un volume pari
solamente ad una ventina di volte quello del nostro Sistema solare, come si
evince dalla variabilità della luminosità (si veda il numero precedente delle
Spigolature) — si associa, per quanto abbiamo appena detto, una massa
pari o superiore a quella di 80 milioni di Soli! Dunque, la concentrazione di
materia è tale da giustificare l’idea che il “motore
centrale” di un quasar sia un buco nero, un
oggetto la cui gravità è così intensa da riuscire a intrappolare anche la
luce nelle sue vicinanze. Si può dimostrare che l’efficienza del
processo di accrescimento può arrivare a essere 60 volte
maggiore di quella delle reazioni nucleari che tengono accese le
stelle (si veda il numero precedente delle Spigolature). Questo è il motivo per cui gli astrofisici sono propensi a credere che le
enormi energie liberate all’interno di un quasar siano di origine
gravitazionale piuttosto che nucleare.
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