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Astronomia
La lunga storia dei neutrini solari

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L'apparato di Davis
Ed ecco un'altra pagina di astronomia non convenzionale: la rilevazione dei neutrini solari. 
L'esistenza del neutrino fu ipotizzata negli anni trenta dal fisico W. Pauli per spiegare il comportamento anomalo della radiazione beta in virtù della quale un neutrone si trasformava in un protone emettendo un elettrone (particella beta). L'anomalia individuata da W. Pauli consisteva nella non conservazione dell'energia. Infatti, se ci si limita a considerare il decadimento beta del neutrone in protone più un elettrone non si conserva l'energia. Per chiudere il bilancio energetico W. Pauli ipotizzò l'esistenza di una particella neutra che si portasse via l'eccesso di energia e che Fermi  chiamò "neutrino".

Il neutrino è molto difficile da rilevare ma la sua importanza risultò straordinaria in seguito alla scoperta del ciclo protone-protone che sta alla base del processo di produzione dell'energia nel nucleo di stelle di sequenza principale simili al Sole. Dal momento che i neutrini hanno una sezione d'urto quasi nulla ecco che possono attraversare l'interno solare quasi senza colpo ferire. Al contrario i fotoni che raggiungono la Terra provengono dalla fotosfera solare ma sono reduci da un lunghissimo percorso dal nucleo verso l'eterno, durato alcune centinaia di migliaia di anni. Se, come fece l'astrofisico J. Bahcall, è possibile calcolare la quantità di neutrini prodotta all'interno del Sole, ecco che la misura, a Terra, del flusso di neutrini è un ottimo indicatore della bontà della teoria dell'evoluzione stellare.

Ray Davis insignito del premio Nobel
Un semplice conto porta  ad affermare che  ogni secondo l'unghia del nostro pollice è attraversata da circa 100 miliardi di neutrini di origine solare. La maggiore difficoltà consiste nel trovare un modo tramite il quale "catturare" gli inafferrabili neutrini.
Fu Ray Davis che non solo propose ma costruì il primo rilevatore di neutrini. Egli notò che il posto migliore in cui installare il rilevatore di neutrini era il pozzo di una miniera in quanto la grande massa soprastante di terra avrebbe scremato la radiazione cosmica lasciando invece filtrare i neutrini. E' per questo che Davis pose il suo apparato nella miniera d'oro di  Homestake nel Sud Dakota ad una profondità di 1500 metri sotto il suolo. Dopo aver asportato 7000 tonnellate di roccia installò in un serbatoio grande quanto una piscina di 50 metri quasi 400.000 litri di tetracloretilene, un banale detersivo utilizzato nei lavaggi a secco delle comuni lavanderie. Dal momento che circa un quarto degli atomi di cloro sono sotto forma dell'isotopo 37 del cloro, si dovrebbe avere almeno un atomo di cloro-37 per ogni molecola di tetracloretilene.

Kamiokande (Kamioka Nucleon Decay Experiment)
Bahall e Davis calcolarono che la probabilità di interazione dei neutrini con il cloro-37 per quanto bassa non era nulla. Per di più interagendo con il cloro 37 l'interazione del neutrini con un neutrone del cloro-37 avrebbe portato alla conversione del neutrone in protone e quindi alla trasmutazione del cloro-37 in argon-37 identificabile nel serbatoio. Il complesso sistema di identificazione dell'argon-37 utilizza pure il fatto che questi è radioattivo con un periodo di dimezzamento di 24 giorni. Alla fine contando i casi di decadimento dell'argon-37 si avrebbe un'evidenza, seppur indiretta, dell'interazione dei neutrini con il cloro-37. La messa a punto di questo esperimento valse a R. Davis il premio Nobel anche se il risultato fu sorprendente, si trovavano solo un terzo dei neutrini previsti dalla teoria del processo di fusione nucleare del ciclo protone-protone.

Nel 1989, 21 anni dopo i primi risultati di Davis, in Giappone, a Kamioka-cho in una miniera di nichel a 1000 metri di profondità, venne allestito un gigantesco esperimento: il Kamiokande (Kamioka Nucleon Decay Experiment). Si trattava di un gigantesco rivelatore cilindrico, che conteneva oltre 1000 tonnellate di acqua purissima, contornata da migliaia di fotomoltiplicatori, in grado di rivelare i neutrini solari. Nel 1989 il rivelatore ripetè la misura dei neutrini solari e successivamente, ulteriormente ampliato, Super-Kamiokande, ottenne nuovi interessanti risultati. I dati confermarono il deficit dei neutrini rilevati rispetto a quelli attesi, ma il deficit era diminuito rispetto ai dati di Davis: ora di neutrini ne mancavano solamente la metà. Ripetendo le osservazioni i risultati furono identici. Nel decennio successivo furono allestiti diversi altri esperimenti in Italia, l'esperimento Gallex, ed in Russia, l'esperimento Sage. Entrambi erano in grado di rivelare anche i neutrini a bassa energia, che si sospettava fossero quelli mancanti. Ancora una volta i neutrini mancarono all'appello, anche se il deficit era di proporzioni diverse. Pertanto ci si convinse che i neutrini mancanti appartenevano sia alla banda di alta energia, sia a quella di bassa energia. Apparve quindi evidente che la mancanza riscontrata non dipendeva dall'energia, ma dalla natura stessa dei neutrini, se si ammetteva, come si continuava a credere, che il loro numero effettivo fosse quello calcolato teoricamente. Importantissimi furono i dati ottenuti nel 1997 sulla sismologia solare, i quali riscontrarono una velocità delle onde sismiche nel Sole, che si accordava perfettamente con quella prevista. Ci si convinse che il modello del Sole era veramente molto accurato e che doveva essere esatto anche il numero dei neutrini attesi.

Kamiokande
Il 18 giugno 2001 un team canadese, americano ed inglese di scienziati annunciò che il problema dei neutrini solari doveva considerarsi risolto. Il gruppo guidato da Arthur McDonald annunciò i dati sulla misura dei neutrini solari, ottenuti con un rivelatore di mille tonnellate di acqua pesante (D2O), posto nelle viscere di una miniera a Sudbury nelll'Ontario, in Canada, denominato Solar Neutrino Observatory (SNO).  Il nuovo rivelatore era in grado di studiare i neutrini solari, in modo analogo a quanto fatto in precedenza dai giapponesi e dagli americani con Kamiokande. Ma era anche sensibile alle altre specie di neutrini. Gli eventi registrati furono questa volta abbastanza in accordo con i dati previsti. SNO vide all'incirca altrettanti neutrini elettronici di quanti erano stati registrati con Super-Kamiokande, ma vide anche gli altri due tipi di neutrini. Le conclusioni furono che i neutrini solari di specie elettronica erano circa un terzo di quelli totali previsti, come già visto da Super-Kamiokande, inoltre aggiungendo a questi anche le altre due specie di neutrini il loro numero totale era in accordo con quanto ci si attendeva.
Era pertanto evidente che, pur producendo il Sole solo neutrini elettronici, qualcosa ad essi doveva accadere nel corso del tragitto dal Sole alla Terra, qualcosa che era in grado di mutarne la natura. Quindi il problema dei neutrini solari era risolto: gli astrofisici avevano elaborato un buon modello del Sole, mentre i fisici delle particelle avevano torto e dovevano rivedere il loro modello di neutrino. I risultati di SNO furono confermati anche da un successivo esperimento nippo-americano, il Kamland, che studiava non i neutrini del Sole, ma quelli prodotti da un reattore nucleare.

Solar Neutrino Observatory (SNO)
Visto che il Sole produceva solo neutrini di tipo elettronico, le altre specie da dove venivano?  Semplice: i neutrini mancanti non mancavano affatto, avevano semplicemente cambiato specie ed era l'incapacità di rivelare le altre due specie di neutrini dei precedenti esperimenti che aveva portato a parlare erroneamente di neutrini mancanti. La teoria, originariamente formulata da Pontecorvo e Gribov nel 1969 e mai accettata,  prevedeva che le interazioni dei neutrini, specie di alta energia, con la materia potesse cambiarne la specie mediante un processo quantistico, detto oscillazione dei neutrini. Cosa dunque della fisica delle particelle era errato nella natura del neutrino? Il dato errato era il valore della massa, che non è nulla, come sempre si era creduto. I dati di SNO e Super-Kamiokande suggeriscono un valore circa 100 milioni di volte inferiore alla massa dell'elettrone, ma i dati non sono sufficienti al momento per fissare tale valore in maniera definitiva. Alla luce di questi dati si può concludere che il modello astrofisico delle stelle è corretto e che il modello standard della particella neutrino deve essere rivisto. Il problema dei neutrini solari ha segnato un successo per l'astrofisica stellare, dopo un paio di decenni nel corso dei quali più di una voce ne aveva messo in dubbio le stesse fondamenta.
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