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Ottobre. La base del PCI si interroga sui fatti d'Ungheria


I fatti di Ungheria
Nell'ottobre 1956 una manifestazione di studenti ungheresi nella capitale si trasforma in una massiccia rivolta popolare contro l'oppressione comunista del regime di Rakosi. Negli ultimi giorni del mese il partito comunista ungherese si ribella a Mosca e pone a capo del Paese Imre Nagy. In un primo momento l'Urss sembra retrocedere nel conflitto contro i rivoltosi. A inizio novembre, però, i carri ritornano a Budapest e soffocano nel sangue la ribellione. Nagy viene arrestato con la promessa di essere salvato. Sarà giustiziato un anno dopo. Alla fine, i morti saranno decine di migliaia. Il Pci di Togliatti e l'Unità, diretta da Pietro Ingrao, si schierano compatti con il Pcus, bollando di «sommossa controrivoluzionaria » la rivolta ungherese. Numerose, però, saranno le espressioni di dissenso e scetticismo in seno alla sinistra.

Dalle cronache dalla Ungheria di Indro Montanelli per il Corriere della Sera:
« [...] Stanati dal letto da quel fragore rotolante di artiglierie, e sommariamente vestiti, tutti si precipitavano giù per le scale, trascinandosi dietro valigie infagottate e mal chiuse che ogni tanto si aprivano rovesciando sui gradini biancheria e suppellettili. La sala da pranzo era piena di gente assiepata davanti a un altoparlante che annunciava un importante comunicato. "Figeln, Figeln!"diceva, attenzione, attenzione. E i boati si facevano sempre più vicini. "All'Urss un colpo di marca hitleriana" . Alla fine, l'importante comunicato venne. Era il disperato appello di Nagy al mondo libero, e tutti ormai lo conoscono. Ignoro se fosse sua, la voce rotta che informava l'Occidente di ciò che era avvenuto e gli chiedeva aiuto. Contro ogni impegno d'onore e di diritto, diceva, i russi avevano iniziato la marcia su Budapest, mentre ancora si svolgevano le trattative, e arrestato i parlamentari magiari. Un colpo di limpida marca hitleriana. Ora, dieci divisioni corazzate precipitavano sulla capitale. I carri armati vi entrarono alle sei e un quarto e fu una terrificante colata di acciaio. Venivano da tutte le direzioni, sempre accompagnati da quel cupo rombo di artiglierie, e dilagarono sui grandi viali che menano al centro, affiancati tre per tre, con i cannoni puntati in avanti, le mitragliere ai lati. A ogni crocicchio, uno si fermava, mentre gli altri proseguivano. I vetri delle finestre tremavano sotto il loro sferraglio. E credo che in tutta Budapest non ci fosse in giro, in quel momento, una sola persona. Sembrava una necropoli dissepolta. Di vivo, non c'erano che le bandiere pendule ai balconi leggermente mosse dal vento, con lo stemma di Kossuth al posto della stella rossa (e ci sono sempre rimaste). I grossi calibri, issati sulle colline che circondano la città, tuonavano senza posa [...] ».
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