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Nel mondo
3 ottobre. La notte di Tlatelolco


Oriana Fallaci durante "la notte di Tlatelolco" fu seriamente ferita
La notte di Tlatelolco
Dal libro di Nando dalla Chiesa, La partita del secolo, Rizzoli editore: «I due ragazzi potevano chiamarsi Juan o Pablo, Pedro o Luis. Lei, la ragazza, poteva chiamarsi Paloma o Paz. O Estrella. O Maria. Ma il mondo li conobbe senza nome. Vennero ritratti insieme, uno accanto all'altro, in tre indimenticabili radiofoto trasmesse dall'agenzia Associated Press il 3 ottobre del 1968. Stavano sdraiati a terra sulla piazza delle Tre Culture in Tlatelolco, a Città del Messico. Lì gli studenti della capitale erano affluiti dall'inizio del pomeriggio. Era annunciato un comizio; che il governo aveva autorizzato quasi a offrire una parvenza di rappacificazione civile dopo le lunghe e insanguinate settimane della protesta universitaria. Nella piazza, luogo ormai canonico del movimento, si erano ritrovati alla fine circa diecimila dimostranti, nella maggior parte studenti. I membri del Comitato nazionale di sciopero si erano sistemati sulla terrazza di un edificio civile, detto il Chihuahua, e da lì stavano tenendo il loro comizio. Un discorso, raccontarono gli inviati, improntato ai toni della moderazione: i leader della rivolta dissero alla folla che avevano tentato di marciare verso i locali del Politecnico presidiato dai militari, ma che vi avevano rinunciato per evitare provocazioni e scontri armati. Esercito e polizia, circa cinquemila uomini in armi, circondavano nel frattempo l'assembramento a debita distanza, ma restringendo poco a poco gli spazi tra sé e i manifestanti.
 
Verso le sei del pomeriggio un elicottero iniziò a volteggiare sulla folla con giri lenti e minacciosi. D'improvviso, alle 18.15, lasciò cadere un fuoco di bengala che illuminò a giorno l'edificio e la piazza. Fu un attimo. Tra gli inviati della stampa presenti sul posto c'era la giornalista italiana Oriana Fallaci. Appena tornata dalle cronache del Vietnam, rivide di colpo le scene della guerriglia e capì subito che cosa sarebbe accaduto dopo quel lampo che sagomava il campo di battaglia: il finimondo. Decine di autocarri entrarono sulla piazza, la strinsero d'assedio chiudendo ogni via d'uscita. Ne sbucarono fuori, come fossero stati fin lì inscatolati e pressati, migliaia di poliziotti e soldati armati di mitragliatrice. Venne aperto il fuoco senza preavviso. Gli uomini in divisa spararono in ogni direzione. I paracadutisti della guardia presidenziale lanciarono un'infinità di pallottole traccianti. I più agguerriti tra i dimostranti diedero battaglia: pietre dai cornicioni e dai tetti, bombe molotov, anche colpi d'arma da fuoco. Gli studenti a mani nude che erano caduti nell'imboscata del governo cercarono solo di non farsi colpire dai proiettili vomitati all'impazzata dai mitra traditori. Si gettarono per terra, schiacciati contro il fondo asfaltato o contro il pavimento dei balconi».
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