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Introduzione alla cosmologia

Alberto Cappi

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Il Big Bang

L'istante iniziale
Se l'universo è in espansione, allora nel passato le galassie dovevano essere più vicine fra loro, e la densità più elevata. Andando indietro nel tempo, arriviamo a un'epoca in cui non potevano esistere le stelle, ma solo gli atomi, e prima solo i nuclei atomici, e così via fino ad arrivare alla remota epoca dei quark, le particelle elementari che costituiscono i protoni e i neutroni. Lemaître suggerì nel 1931 che l'universo fosse nato dalla frammentazione di "un atomo primordiale", un'idea che rappresenta il primo passo verso la teoria del Big Bang (anche se Edgar Allan Poe nel 1848 aveva avanzato un'ipotesi analoga in un contesto newtoniano nel suo affascinante poema in prosa Eureka). Andando a ritroso nel tempo, si dovrebbe comunque arrivare ad un istante iniziale in cui la densità era infinita.

I fisici Hawking e Penrose hanno dimostrato negli anni '70 che in relatività generale la singolarità iniziale, ovvero l'istante in cui la densità dell'universo era infinita, è inevitabile. Occorre però ricordare che questa è solo una estrapolazione dei modelli; la relatività generale non può più essere applicata nei primi istanti di vita dell'universo, quando tutto era concentrato su scale microscopiche, che sono descritte invece dalla meccanica quantistica. Purtroppo la meccanica quantistica non ha una formulazione compatibile con la relatività generale, e non può essere applicata all'universo. Per questo motivo è in corso già da molti anni un intenso lavoro teorico, su strade diverse, per unificare la meccanica quantistica e la relatività generale, e costruire una teoria quantistica della gravitazione, che sola potrebbe descrivere le prime fasi di vita dell'universo.

Le conferme
Big Bang, o "grande botto", è un termine che voleva essere spregiativo, coniato negli anni '50 da Fred Hoyle, il quale era scettico e filosoficamente ostile all'idea di un inizio dell'universo e aveva proposto insieme a Bondi e Gold una teoria alternativa, la teoria dello Stato Stazionario, in cui l'universo esiste da sempre ed è in continua espansione, ma vi è creazione continua di materia che mantiene la sua densità costante. Le osservazioni hanno mostrato che questa teoria non è corretta, e che l'universo nel passato era diverso da come è nel presente.

Vi sono diverse e convincenti conferme della validità della teoria del Big Bang. Vi è innanzitutto la sostanziale coincidenza fra l'età dell'universo che si può calcolare ripercorrendo all'indietro l'espansione dell'universo fino a quando tutto doveva essere concentrato in un punto, e l'età delle stelle più vecchie, attorno ai 15 miliardi di anni. A priori, le due età potrebbero essere totalmente diverse, e solo il Big Bang offre una spiegazione naturale di questa coincidenza. Si legge talvolta sui giornali di una crisi del Big Bang, dovuta al fatto che alcune stelle risulterebbero più vecchie dell'età attribuita all'universo; in realtà, incertezze sperimentali a parte, quelle misure possono escludere solo alcuni dei diversi modelli che si possono costruire a partire dal Big Bang.

La natura cosmologica del redshift delle galassie è ormai ampiamente confermata, nonostante alcuni casi di oggetti apparentemente vicini con redshift molto diversi, studiati soprattutto dall'astronomo americano Halton Arp, che però possono essere interpretati come allineamenti casuali o anche come miraggi gravitazionali. Ad esempio, è possibile adesso misurare la distanza delle galassie indipendentemente dal redshfit, e questa velocità è sempre in buon accordo con quella stimata dal redshift (tenendo conto naturalmente del fatto che una galassia, oltre a partecipare all'espansione dell'universo, ha anche una sua velocità, dovuta ad esempio all'attrazione gravitazionale di galassie vicine).

Un altro grande successo della teoria del Big Bang è la spiegazione della formazione e delle abbondanze degli elementi che osserviamo nell'universo. Andando indietro nel tempo, come si è detto, densità e temperatura dell'universo dovevano essere sempre più elevate. Attorno al primo secondo dopo il Big Bang, l'universo era composto da protoni, neutroni, elettroni, fotoni, e neutrini. Per qualche minuto, finché temperatura e densità furono abbastanza elevate, vi fu una serie di reazioni nucleari che portò alla formazione di nuclei di elio (due protoni e due neutroni legati dalle forze nucleari) e, in misura minore, di altri elementi leggeri. Le abbondanze osservate di questi elementi sono in accordo con quelle previste dalla teoria del Big Bang. Col procedere dell'espansione, e la diminuzione di densità e temperatura, la nucleosintesi primordiale si è arrestata, senza poter produrre gli elementi pesanti, che troviamo in abbondanza sulla Terra e che sono essenziali per la vita, come il carbonio, l'azoto o l'ossigeno. Ma questo non è un problema. Sappiamo infatti che a produrre gli elementi più pesanti è stata la fusione nucleare all'interno delle stelle. Le prime generazioni di stelle massicce, esplodendo, hanno diffuso nello spazio interstellare gli elementi pesanti da loro prodotti, elementi finiti nel gas che, per contrazione gravitazionale, ha dato origine ad altre stelle, come il nostro Sole.

Alcune centinaia di migliaia di anni dopo l'istante iniziale, vi fu la cosiddetta epoca della ricombinazione: la temperatura divenne sufficientemente bassa, attorno al migliaio di gradi, da permettere ad elettroni e protoni di legarsi stabilmente, formando atomi di idrogeno. Soltanto allora i fotoni poterono propagarsi liberamente nello spazio, e l'universo divenne "trasparente". Oggi continuiamo ad essere circondati da quei fotoni che, perdendo energia durante l'espansione, si trovano ora ad una temperatura di 2,73 gradi sopra lo zero assoluto, e costituiscono la cosiddetta radiazione cosmica di fondo. Questa radiazione fu scoperta casualmente nel 1965, e successive osservazioni in altre lunghezze d'onda hanno mostrato che essa ha le caratteristiche previste dalla teoria del Big Bang. In particolare ha la proprietà di essere isotropa, ovvero la sua temperatura è la stessa con una precisione elevatissima, qualunque sia la direzione nel cielo in cui viene misurata. Ciò conferma che l'universo su grandi scale deve essere omogeneo: infatti, se all'epoca della ricombinazione vi fossero state grosse fluttuazioni nella densità di materia, queste avrebbero dovuto causare delle grosse fluttuazioni nella temperatura della radiazione di fondo.

Formazione delle galassie e materia oscura
Abbiamo però visto che l'universo locale non è omogeneo, e negli ultimi venti anni sono state osservate strutture complesse, grandi vuoti, filamenti e "muraglie" di galassie, su scale di 100 milioni di anni-luce. Per spiegare la formazione di queste strutture occorre che, all'epoca della ricombinazione, vi fossero piccole fluttuazioni di densità nel gas primordiale costituito essenzialmente da atomi di idrogeno e di elio. Le zone in cui la densità era un po' più alta tendevano ad esercitare un'attrazione gravitazionale superiore, e sono divenute progressivamente più massicce, sino a formare stelle e galassie, nel corso di un processo durato alcune centinaia di milioni di anni. Ci si aspetta pertanto che la radiazione cosmica di fondo non sia perfettamente isotropa, ma conservi la traccia della formazione delle prime strutture sotto forma di piccole fluttuazioni di temperatura, che sono però molto difficili da misurare, e sono state rivelate soltanto nel 1992 da un satellite della NASA. Questo ha rappresentato un ulteriore, importante conferma della teoria del Big Bang, ma non risolve definitivamente il problema della formazione delle galassie.

galassie
Figura 1. Una mappa dell’universo vicino. Ogni punto rappresenta una galassia, e la sua distanza è stata ottenuta misurandone il redshift. È evidente che la distribuzione delle galassie non è uniforme, e che esistono strutture molto estese. Uno dei problemi principali della cosmologia è quello di spiegare la formazione di queste strutture. (mappa di da Costa et al. 1994 )

Infatti, le fluttuazioni sono così piccole, con variazioni di appena un centomillesimo rispetto alla temperatura media, che, anche in 15 miliardi di anni, appare impossibile formare le galassie e le strutture che si osservano oggi con la sola materia che conosciamo. Si è dunque ipotizzata l'esistenza di un altro tipo di materia che avrebbe potuto condensarsi più rapidamente senza provocare variazioni nella temperatura della radiazione cosmica di fondo. In questo modo le condensazioni di materia all'epoca della ricombinazione sarebbero state più importanti, e avrebbero attratto più materia in minor tempo, permettendo la formazione delle strutture attuali. L'idea non è un puro parto della fantasia, ma deriva sia dalle osservazioni che dagli sviluppi della fisica delle particelle.

In effetti, nell'universo vi è una gran quantità di materia che noi non vediamo, materia oscura, ma che possiamo rivelare studiando il moto delle stelle e del gas nelle galassie, o delle galassie stesse negli ammassi. Si stima che nelle galassie vi sia 10 volte più massa di quella che noi possiamo osservare sotto forma luminosa. Negli ammassi di galassie si misura addirittura una massa 100 volte superiore a quella visibile sotto forma di galassie. In tutti i casi, appare difficile che la materia oscura sia tutta sotto forme a noi note, come stelle poco massicce o buchi neri, perché le nostre conoscenze sulla nucleosintesi primordiale pongono dei limiti superiori alla quantità di protoni e neutroni che possono essersi formati. I neutrini sono un candidato possibile per la materia oscura, ed in effetti recenti esperimenti mostrano che sono dotati di massa, ma questa è troppo piccola per dare un contributo cosmologico dominante, e in più le simulazioni effettuate al calcolatore hanno mostrato che anche con i neutrini non si riescono a riprodurre le caratteristiche delle strutture osservate. È possibile invece che esistano particelle più massicce, suggerite dalle teorie di grande unificazione della fisica. I candidati sono tanti, ma l'esistenza di almeno una di queste particelle è ancora da dimostrare.

L'esistenza di materia oscura ha ovvie ripercussioni sul problema che riguarda la geometria e il destino dell'universo. Infatti, come abbiamo visto, quanto più alta è la densità di materia dell'universo, tanto più l'attrazione gravitazionale è forte e rallenta l'espansione. Anche considerando il contributo della materia oscura nelle galassie e negli ammassi di galassie, si arriva soltanto a circa un quarto della densità necessaria per chiudere l'universo. Se però la materia oscura fosse distribuita in modo diverso da quella luminosa, allora sarebbe possibile in linea di principio arrivare alla densità critica e, superandola anche di poco, a chiudere l'universo e a provocarne il collasso in un lontanissimo futuro.

Un modo alternativo per capire quanta materia c'è nell'universo è quello di misurare direttamente la variazione della velocità di espansione. Ci aspettiamo in fatti che, quanta più materia c'è, tanto più l'espansione sia rallentata. Si tratta di una misura molto ardua da effettuare, e finora nessuno è riuscito ad ottenere dei risultati convincenti. Occorre avere una classe di oggetti di cui sia nota la luminosità intrinseca, e misurarne la luminosità apparente, in modo da poterne dedurre la distanza, così come aveva fatto Hubble con le Cefeidi. Il problema è che per distinguere fra i vari modelli occorre spingersi a redshift elevati, almeno attorno all'unità, ed occorrono dunque oggetti molto luminosi; per questo non si possono usare le Cefeidi, ma fortunatamente vi è un particolare tipo di supernovae (stelle che esplodono) di cui si può stimare la luminosità intrinseca in maniera sufficientemente precisa e che può essere osservato anche ad alto redshift. I risultati preliminari di due gruppi di ricerca che osservano supernovae lontane indicano sorprendentemente che l'universo non sta rallentando, ma accelerando. Questo fatto può essere spiegato dalla presenza di una costante cosmologica positiva, che in effetti agisce come una forza repulsiva. In questo caso, l'età dell'universo sarebbe più grande di quella stimata finora, risolvendo ogni eventuale contraddizione con l'età delle stelle più vecchie. Inoltre le proprietà della distribuzione delle galassie sono meglio descritte proprio da quei modelli che includono la costante cosmologica.

Nella fisica moderna, la costante cosmologica viene interpretata come una manifestazione dell'energia del vuoto. Infatti, il vuoto nella fisica quantistica non è il "nulla"; ha proprietà ben precise ed è popolato da particelle "virtuali". Se i risultati delle osservazioni verranno confermati, la costante cosmologica dominerebbe l'energia dell'universo. La maggior parte dell'energia rimanente sarebbe dovuta alla componente oscura, mentre la materia visibile costituirebbe solo una frazione trascurabile. Paradossalmente, il valore osservato della costante cosmologica è piccolo rispetto al numero enorme predetto dalla fisica delle particelle. Dunque vi è ancora molto lavoro da fare sia dal punto di vista sperimentale che teorico per comprendere la natura di ciò che contribuisce all'energia dell'universo.



L'inflazione dell'universo