Leggere il Cielo

Breve e parziale storia del tempo.

Da una cosmogonia atemporale all'universo in espansione

Annibale D'Ercole

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Prologo
Il tempo degli antichi...
...e quello dei moderni
Il tempo dei naturalisti...
...e quello dei fisici
Dal nucleo dell'atomo all'abisso del tempo
L'evoluzione cosmica e l'inizio del tempo
Epilogo
Letture

Il tempo dei naturalisti ...

La domanda "quanto è vecchia la Terra?", che a noi appare oggi cosl naturale, non venne presa in considerazione da nessuna delle civiltà del passato, dai Babilonesi agli Egiziani, ai Greci e ai Romani. I Greci, ad esempio, erano ben consci che gli eventi naturali si originavano da meccanismi fisici e non da miti (si pensi all'atomismo di Democrito e Leucippo); essi avevano anche notato che la forma delle coste andava continuamente cambiando ad opera dell'incessante erosione delle onde. Ma queste osservazioni ebbero scarso impatto. L'uomo del passato, pienamente immerso in una natura che si rinnova regolarmente, rimase legato alla concezione di un tempo ciclico in cui tutto veniva periodicamente riproposto. Chiedersi quale fosse l'età della Terra all'interno di un ciclo destinato a ripetersi in eterno rappresentava una curiosità priva di reale interesse, e questo spiega la sostanziale indifferenza degli antichi per questo quesito. In questo clima culturale i fossili marini ritrovati sulle pendici delle montagne vennero in genere considerati stranezze di scarso interesse. Anassimandro, Pitagora ed Erodoto in Grecia, e successivamente Leonardo da Vinci (1452-1519), avevano correttamente dedotto che quelle montagne in passato dovevano trovarsi sottacqua. Ma si trattava di voci isolate, e per tutto il Medioevo circolarono fantasiose interpretazioni riguardo tali fossili. Alcuni credevano che fossero prototipi difettosi di organismi che il Creatore aveva rinunciato a portare in vita. Altri pensavano che rappresentassero il vano tentativo di Satana di emulare l'azione creatrice di Dio. Altri ancora ritenevano che i fossili fossero stati trascinati sulle montagne dall'azione del Diluvio Universale. Ancora nel '700 un personaggio come Voltaire (1694-1778) poteva in tutta serietà avanzare l'ipotesi che i fossili fossero stati messi a bella posta da qualcuno.

Finalmente, nel XVII secolo, grazie anche alla recente invenzione del microscopio, fu possibile spiegare come la sostanza organica in un fossile possa essere lentamente rimpiazzata da sostanze inorganiche. La mineralizzazione di reperti organici mostrava che le rocce non erano sempre state solide, ma in passato dovevano avere avuto la consistenza della melma per potersi infiltrare all'interno degli scheletri animali. Questa melma trasportata dalle correnti marine si accumula in strati orizzontali e solidifica in rocce sedimentarie a causa della pressione. Strati rocciosi diversi, contenenti ognuno fossili specifici, hanno dunque età diverse, il successivo essendo più giovane del precedente. Le età implicate, benché non quantificabili, dovevano certamente essere superiori a quelle che potevano dedursi dalla Bibbia. Basandosi infatti sulla genealogia dei personaggi biblici, diversi studiosi (Lutero e Newton, tra gli altri) fissarono la nascita della Terra intorno al 4000 a.C. I seimila anni resi così disponibili erano decisamente pochi. Si ricorse pertanto alla teoria del catastrofismo con cui si ipotizzavano una serie di cataclismi a livello planetario in cui alluvioni e terremoti, causando violenti spostamenti di terra e di mari, erano in grado di produrre nel breve tempo a disposizione le discontinuità osservate tra i diversi strati di roccia. A questo punto, però, era chiaro che un unico Diluvio non era più sufficiente, e le discrepanze con la Bibbia, che si era tentato di lasciare fuori dalla porta, rientravano dalla finestra. Le implicazioni derivanti dallo studio dei fossili erano dunque di portata tale da non venire riconosciute ed accettate nell'immediato. Per circa un secolo si continur a catalogare rocce e fossili accantonando il problema della datazione.

Fu James Hutton (1726-1797), un geologo scozzese, a gettare le basi del metamorfismo, ovvero lo studio dei processi di trasformazione delle rocce. Come Copernico si liberò in un colpo della complicata teoria degli epicicli ed interpretò le traiettorie dei pianeti spostando il centro del sistema solare dalla Terra al Sole, cosl Hutton si sbarazzò del catastrofismo e delle sue ignote cause mostrando che gli stessi processi attualmente in atto sulla superficie terrestre (erosione, sedimentazione, vulcani, terremoti) erano anche responsabili delle variazioni geologiche purché avessero a disposizione un tempo sufficientemente lungo. Già i Greci, come abbiamo detto, avevano messo in luce i continui cambiamenti delle rocce a causa dell'erosione. Ma lo scozzese fu il primo a sottolineare che le rocce venivano anche ripristinate dall'attività vulcanica dal cui magma si originano le rocce dette, appunto, ignee. Hutton, tuttavia, non aveva in mente un'evoluzione lineare della Terra, ma piuttosto un andamento ciclico di continue distruzioni e ricostruzioni il cui periodo, benchi assai lungo a causa della lentezza dei meccanismi in atto, non era però quantificabile.

Nel XIX secolo la visione ciclica di Hutton era destinata ad essere smentita. L'accumulo di dati e la conseguente catalogazione degli strati di roccia aveva indotto la speranza di poter calcolare il tempo geologico. Ma non in tutti i luoghi la successione degli strati era la stessa, a causa delle diverse condizioni locali di calore e pressione derivanti dall'erosione e formazione di montagne o dalla collisione di continenti. Non è dunque banale ripercorrere la storia della Terra tramite gli strati dovuti a sedimentazioni successive. Fortunatamente i fossili racchiusi nelle rocce mostravano una regolarità assai maggiore. Anche se strati coevi sono composti da rocce diverse in luoghi diversi, essi contengono lo stesso tipo di fossili. Alcune specie perdurarono così a lungo che i loro fossili si ritrovano in numerosi strati, altri solo in pochi strati; la nascita e l'estinzione di alcune specie sono avvenute all'interno di un solo strato. Era chiaro che il succedersi dei fossili nei diversi strati rappresentava una sorta di calendario in cui erano registrati gli eventi geologici. Questo calendario mostrava un andamento lineare, e non ciclico, del susseguirsi degli eventi: man mano che ci si sposta a strati superiori, e dunque più recenti, i fossili in essi contenuti tendono a diventare sempre più complessi, e una volta che un determinato fossile sparisce esso non riappare più. Questo pur avvenire solo per un tempo unidirezionale, e non ciclico. Chiaramente i fossili non erano in grado di fornire una stima assoluta del tempo trascorso, ma solo una scala relativa della successione degli eventi. Fu dunque possibile suddividere il passato della Terra nelle tre ormai familiari ere geologiche (cenozoica, mesozoica e paleozoica) con i loro periodi (quaternario, terziario, ecc.), ma l'estensione di tale passato rimaneva incognita. Data la lentezza dei processi considerati, paleontologi e geologi necessitavano di tempi abissali e la cronologia biblica risultava ovviamente scardinata. I tempi erano ormai maturi per azzardare l'ipotesi che, se il mondo inanimato evolveva, tale evoluzione doveva coinvolgere anche gli esseri viventi: nel 1859 Charles Darwin (1809-1882) pubblicò L'Origine delle specie in cui si sosteneva una comune ascendenza per l'intero mondo animale da cui si sarebbero evolute le varie specie. Anche in questo caso erano richiesti tempi enormi. Paradossalmente, a contrastare tale richiesta, ricoprendo in un certo senso il ruolo di conservatori, furono proprio i fisici e gli astronomi che pure, nei secoli precedenti, risultarono determinanti nello spezzare alcuni dogmi aristotelici difesi dalla Chiesa (si pensi a Copernico, Keplero e Galileo).



... e quello dei fisici