La distanza degli oggetti celesti al di fuori della nostra Galassia viene stimata attraverso tecniche di misura "indirette". Queste tecniche si basano sulla identificazione di oggetti celesti che costituiscano degli "indicatori di distanza", cioè oggetti o classi di oggetti la cui luminosità intrinseca (e quindi magnitudine assoluta) è "costante" e "nota", i quali ci appaiono a luminosità (magnitudini) apparenti diverse solo perché si trovano a distanze diverse da noi.
Gli astronomi chiamano questi oggetti "candele standard". Il punto cruciale di tutte le tecniche basate sulle "candele standard" è che esse devono essere accuratamente calibrate, cioè la magnitudine assoluta dell'indicatore deve essere determinata con grande accuratezza prima che esso possa essere utilizzato per stimare la distanza di oggetti celesti più lontani. In astronomia la possibilità di spingersi a misurare distanze sempre più grandi e con accuratezze sempre maggiori è stata ed è indissolubilmente legata alla capacità di identificare indicatori di distanza (i) sempre più attendibili, e stabili (cioè con magnitudine assoluta costante), (ii) facilmente individuabili in sistemi stellari via via più lontani, perché intrinsecamente molto brillanti (ad esempio le Novae e le Supernovae) o con caratteristiche che li rendessero facilmente riconoscibili (la particolare forma della curva di luce nel caso delle variabili Cefeidi, RR Lyrae e Mira), e (iii) di essere in grado di fissarne in modo sempre più accurato la magnitudine assoluta. Il metodo degli "indicatori di distanza" è venuto evolvendo per passi successivi e parallelamente alla necessità di misurare distanze sempre più grandi. Il primo di questi passi è l'identificazione di oggetti di luminosità intrinseca costante e distanza nota (ad esempio attraverso la misura della parallasse) "all'interno della nostra Galassia", per poi andare a cercare questo stesso tipo di oggetti a distanze via via maggiori, in sistemi stellari sempre più lontani. Questo tipo di procedimento ha dato ottimi risultati fino a distanze dell’ordine dei 107pc. Quando però ci si vuole spingere oltre, i singoli oggetti divengono troppo deboli per essere visti e riconosciuti, il passo successivo è allora quello di utilizzare come indicatori le "proprietà globali" di intere classi di oggetti (la luminosità integrata degli ammassi globulari, le classi di luminosità delle galassie spirali, l'esistenza della relazione colore-luminosità nelle galassie ellittiche). L'individuazione di questo secondo tipo di indicatori è in generale molto più difficile e controversa, e le distanze da essi stimate risultano inevitabilmente più incerte perché su di esse si propaga l'incertezza con cui è nota la distanza degli indicatori locali su cui vengono calibrati. Di conseguenza gli "indicatori di distanza" hanno un "rango" e una "bontà" diverse e vengono perciò suddivisi in indicatori "primari", "secondari" e “terziari". La Figura 2 mostra i più importanti metodi ed indicatori di distanza comunemente usati in astronomia e l'intervallo di distanze entro cui essi vengono impiegati.
Figura 2. Scala delle distanze cosmologiche ed intervalli di applicabilità
dei vari metodi di misura ed indicatori di distanza. Gli intervalli corrispondenti
alla parallasse trigonometrica ed alle Cefeidi, sono stati estesi (porzioni
tratteggiate) per includere i più recenti risultati ottenuti tramite
il satellite astrometrico Hipparcos e il Telescopio Spaziale Hubble (HST).