L'Universo e l'origine della vita

Prime tappe dell'evoluzione
dei viventi

Antonio Bonfitto

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Teorie sull'origine della vita

Abbiamo visto che la funzionalità cellulare utilizza due sistemibiologici, il sistema genetico ed il sistema metabolico; il primo si basa sugli acidi nucleici, DNA e RNA, il secondo sulle proteine. I due sistemi sono entrambi indispensabili alla vita, tuttavia, quale dei due si sia formato per primo, quando e attraverso quali modalità sono tra i temi più dibattuti e controversi della biologia evolutiva, nel momento in cui questa cerca di fornire teorie circa l'origine della vita.

Se escludiamo a priori, perché scientificamente indimostrabile, la teoria creazionista, secondo la quale la vita sarebbe stata creata da un ente soprannaturale, le due principali ipotesi riguardanti l'origine della vita fanno riferimento alla possibilità che essa sia stata importata sulla Terra dallo spazio, sotto forma di germi o spore (ipotesi cosmozoica o della panspermia) (Arrhenius, 1907) o che si sia originata, sul nostro pianeta, spontaneamente e direttamente da materiale non vivente (teoria della generazione spontanea).

La teoria del fisico svedese Svante Arrhenius, ripresa alla fine degli anni Settanta dall'astrofisico Fred Hoyle (comete come vettori di vita nell'universo), estremizzata addirittura dal premio Nobel Francis Crik (teoria della panspermia guidata, secondo la quale la vita sarebbe stata trasportata sul nostro pianeta da extraterrestri a bordo di navicelle spaziali), si limita a spostare l'ambito di origine del fenomeno, ma non fornisce una risposta circa la sua origine assoluta. Nel contempo, la teoria della generazione spontanea della vita, già espressa da Aristotele nel III sec. a. C., pur avendo goduto di largo seguito per quasi duemila anni è stata definitivamente confutata, nel 1863, da Louis Pasteur, che ha dimostrato come qualsiasi forma di vita, anche la più microscopica, non può che originarsi da altra vita. Ma è sempre stato così?

Un approccio di tipo "abiogenetico" (vita originata dalla non vita) sembra essere indispensabile almeno per caratterizzare le prime fasi di sviluppo del fenomeno. Infatti, tutte le teorie attuali cercano di definire uno scenario inorganico, all'interno del quale collocare elementi chimici primordiali dalle cui interazioni il fenomeno può aver avuto origine. A questo approccio "abiogenetico" è necessario, tuttavia, aggiungere la coscienza dell'esistenza di una fenomenologia "evolutiva" che solo recentemente è stata acquisita. Tale coscienza consente, infatti, di immaginare una "vita in evoluzione" non statica e immutabile (teorie fissiste), una vita che nasce e si sviluppa, una vita che cambia nel corso di un tempo enorme. Il merito di aver offerto alla Scienza un'organica teoria evolutiva e di aver individuato per essa un meccanismo immanente (Selezione Naturale) mediante il quale tale evoluzione avrebbe potuto avvenire, va attribuito al genio di un naturalista inglese, Charles-Robert Darwin (1809-1892).

Nella visione evoluzionista (visione che ha avuto, nel frattempo, notevoli sviluppi sia concettuali che sperimentali) la vita sulla Terra non si manifesta attraverso forme immutabili e statiche, ma in forme dinamiche e mutevoli. Nel corso di un tempo enorme (della cui vastità non si è avuta coscienza fino al XIX secolo) queste forme sono cambiate, diversificate, via via modulandosi sempre più all'ambiente chimico-fisico che le accoglie, anch'esso caratterizzato da un estremo dinamismo.

Ma in che modo la vita può riaffermare la propria esistenza in un ambiente mutevole che può rendere limitante quello che ieri era premiante e viceversa? Attraverso la sua capacità di offrire, generazione dopo generazione, varianti di se stessa, varianti in grado di proporsi come ulteriori alternative di vita all'ambiente. La valenza adattativa, in termini di sopravvivenza, di queste varianti viene sottoposta al vaglio della Selezione Naturale, vero motore evolutivo, che seleziona, tra le innumerevoli variabili, solo le più idonee a cui viene consentito di sopravvivere e di svilupparsi fino a quando le variazioni indotte nell'ambiente dalle leggi chimico-fisiche e dalla stessa attività biologica non imporranno un nuovo mutamento (appare chiaro, in tale contesto, l'enorme importanza, in termini evolutivi, della riproduzione sessuale). In questo continuo inseguimento la vita cambia, potendo raggiungere livelli strutturali e funzionali di sempre maggiore complessità o comunque di equilibrio rispetto alla pressione selettiva.

Ripercorrendo a ritroso questo processo, seguendone le tracce nella documentazione fossile, nella dinamica geologica della Terra, nelle strutture e nella funzionalità che caratterizzano le forme viventi attuali, ci accorgiamo che la vita si è mossa lungo linee filetiche che legano tra loro tutti gli organismi viventi e che convergono in un punto che rappresenta la prima manifestazione del fenomeno. La visione evoluzionistica, quindi, ci costringe a risalire nel tempo verso forme di vita sempre più semplici e questo ci conduce necessariamente alla scoperta, almeno sul piano concettuale, della prima "cellula vivente".

Tuttavia, una tale conquista concettuale impone di considerare anche una serie di paradossi di non facile soluzione, che ricordano un po' quello famoso dell'uovo e della gallina. Se spingiamo lo sguardo fino al limite di ciò che noi chiamiamo vita, cioè le più semplici strutture biologiche in grado di esprimere il fenomeno, osserviamo che questa struttura vivente (ad esempio un batterio) presenta comunque una funzionalità metabolica e genetica molto complessa, che si basa sul possesso di molecole organiche essenziali ma che sono esse stesse il frutto di tale funzionalità. Zuccheri, grassi, proteine, acidi nucleici sono attualmente fabbricati solo da sistemi viventi: come sono potuti comparire prima dei sistemi viventi di cui rappresentano la struttura o il prodotto funzionale? Sappiamo che gli organismi animali (eterotrofi) non sono in grado di sopravvivere senza gli alimenti sintetizzati dalle piante (autotrofi); sembrerebbe quindi legittimo cercare l'origine della vita tra i vegetali primitivi (alghe autotrofe). Questi organismi, tuttavia, necessitano di un sistema di estrazione dell'energia solare e di un sistema di utilizzazione di questa energia estremamente complicato, per essere considerato nel corredo funzionale dei primi viventi. Inoltre, l'elemento essenziale a tale processo è la clorofilla, altro prodotto di esclusiva sintesi dei viventi.

Tutte le attuali reazioni vitali sono regolate da enzimi, a loro volta informati dal DNA, a sua volta montato da enzimi: chi è stato il primo? Tenendo conto di tutti questi paradossi e della visione evoluzionistica, negli anni Trenta il biochimico russo Alexsandr Ivanovic Oparin e il biologo inglese John Burdon Sanderson Haldane formularono la prima delle cosiddette "teorie chimico-biologiche", secondo le quali la vita si è sviluppata sul nostro pianeta per evoluzione a partire da molecole non biologiche. Nella loro teoria i due studiosi cercarono di superare molti dei circoli viziosi prima esposti.



Ipotesi sulla fase biochimica e prebiologica