L'Universo e l'origine della vita

Prime tappe dell'evoluzione
dei viventi

Antonio Bonfitto

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Ipotesi sulla fase biochimica e prebiologica

Secondo Oparin e Haldane la Terra di circa 4 miliardi di anni fa era molto diversa dall'attuale. Era un pianeta ad alto contenuto energetico (energia endogena ed esogena), con un'atmosfera primitiva caratterizzata dall'assenza di ossigeno e anidride carbonica ma ricca in idrogeno, metano, ammoniaca e vapore acqueo; quindi fortemente riducente. Queste condizioni chimico-fisiche consentirono la formazione di una grande quantità di molecole organiche che, accumulandosi nei mari primitivi (in quantità tale da giustificare l'espressione "brodo primordiale"), poterono reagire tra loro in modo da originare una grande varietà di molecole biologiche importanti per la vita. Successivamente queste molecole si associarono nei primi sistemi macromolecolari in grado di esprimere una primitiva funzionalità vivente, accrescimento e autoriproduzione.

Un tale scenario consente di superare il primo e più importante paradosso e riabilitare, anche se per un breve attimo iniziale, la teoria della generazione spontanea della vita: dei composti organici poterono, in teoria, formarsi in assenza di esseri viventi. Una tale disponibilità di materia organica in continua sintesi ha rappresentato, secondo Oparin e Haldane, il cibo per i primi sistemi viventi in grado di assimilarlo. I primi organismi furono dunque degli eterotrofi in grado di assumere combustibile chimico direttamente nel mezzo ambiente. In questa ipotesi, quindi, invece di immaginare un sistema vivente complesso (autotrofo) che sfrutta semplici elementi ambientali (luce, acqua e anidride carbonica, peraltro assente nella loro ipotetica atmosfera primitiva) si ipotizza un sistema vivente semplice in un mezzo ambiente complesso, già ricco di alimenti. È così possibile superare altri paradossi. Infine, secondo Oparin e Haldane, questi sistemi viventi, per quanto semplici, ma tuttavia completi, furono sottoposti, durante milioni di anni, alla Selezione Naturale che ne determinò il destino avendo come unica alternativa quella di "essere o non essere". All'inizio l'ipotesi di Oparin-Haldane non venne unanimemente accettata dal mondo scientifico per la mancanza di adeguate prove sperimentali che la convalidassero pienamente.

Negli anni Cinquanta, Harold C. Urey, premio Nobel per la Chimica nel 1934, e Stanley Miller, un suo allievo, riuscirono ad ottenere alcune conferme sperimentali. A quel tempo Urey era interessato alle differenti teorie riguardanti l'origine del Sistema solare e, in particolare, alla composizione chimica dell'atmosfera che avrebbe dovuto circondare la Terra primitiva. Urey arrivò alla stessa conclusione di Oparin, cioè che il primitivo involucro gassoso della Terra dovesse essere riducente. Stanley Miller, nel 1953, ebbe l'idea di ricostruire in laboratorio queste presunte condizioni ambientali: pose in un pallone una miscela di gas simile a quella ipotizzata per la Terra primitiva, composta da idrogeno (H2), metano (CH4), ammoniaca (NH3) e vapore d'acqua (H2O), sottopose la stessa a continue scariche elettriche (per simulare i fulmini) e, dopo una settimana, analizzò i prodotti di sintesi (Fig. 3). Non senza sorpresa si accorse che si erano formati numerosissimi composti organici, tra i quali amminoacidi. Dopo Miller, molti autori hanno compiuto esperimenti analoghi, variando di volta in volta sia la composizione dei gas che la sorgente di energia (calore, radiazioni ultraviolette, ecc.). I risultati ottenuti dimostrano che quasi tutti i monomeri biologici possono essere prodotti in modo abiologico, in assenza di ossigeno, partendo da materiale inorganico.

macchina
Figura 3. L'apparecchiatura ideata da Miller per simulare le condizioni prebiotiche sulla Terra.

Tuttavia, esistono dei problemi. Non tutte le molecole sintetizzate da Miller sono presenti nei viventi (ad esempio, dei tre amminoacidi del gruppo dell'alanina ottenuti, solo uno è effettivamente presente negli organismi) e non tutti i composti utili alla vita possono essere facilmente sintetizzati utilizzando quei protocolli (un esempio fra tutti è rappresentato dalla sintesi endoergonica dell'ATP). Un altro grosso problema è rappresentato dall'uniformità chiralica dei composti organici di origine biologica. Tramite gli esperimenti di Miller si ottengono miscele racemiche dei possibili enantiomeri, ma sulla Terra esistono, ad esempio, solo L-amminoacidi e D-zuccheri. Nessuno riesce a spiegare perché.

Qualcuno ipotizza una possibile origine extraterrestre di molti composti organici. La loro uniformità racemica si spiegherebbe sulla base di presunti processi di molecular-tunnelling a bassa temperatura o a distruzione differenziata degli enantiomeri; per gli amminoacidi destrogiri, si è ipotizzata, ad esempio, una distruzione selettiva operata da radiazioni ultraviolette polarizzate circolarmente, forse prodotte da stelle di neutroni. Tali ipotesi sono, in parte, sostenute dalla scoperta che certi amminoacidi di origine extraterrestre rinvenuti sul meteorite di Murchinson (Australia) hanno natura racemica. Un ultimo punto da considerare è che le sintesi di Miller necessitano di una forte presenza di CH4 e NH3. Tuttavia, oggi sono in molti a sostenere che l'atmosfera primitiva abbia perso molto velocemente il suo carattere riducente e che fosse composta prevalentemente da CO2. Un tale scenario rende praticamente impossibile molte delle sintesi milleriane e quindi rende lecita l'ipotesi che l'origine di molti composti sia da ricercarsi nell'apporto esogeno.

Indipendentemente dalla natura endogena o esogena dei composti organici di base (scartando l'ipotesi che la vita sia giunta sulla Terra già sotto forma di organismo vivente), bisogna necessariamente ipotizzare una fase prebiologica in cui le molecole organiche si sono organizzate a costituire dei previventi. A questo proposito sono state formulate diverse teorie.

In senso storico, le prime sono quelle cosiddette fenotipiche, che tendono a considerare la formazione delle strutture cellulari (involucro cellulare, proteine, ecc.) precedenti la formazione dell'informazione genetica. La più famosa di queste teorie si deve ad Oparin che, nel formularla, utilizzo le sue osservazioni sui coacervati. Soluzioni acquose di due o più polimeri (proteici, glucidici o lipidici) segregano due fasi, una ricca e una povera di colloidi. La prima tende ad organizzarsi in minuscole goccioline dette coacervati.

coacervati
Fig. 4. I coacervati di Oparin.

Il fenomeno della coacervazione era noto da molto tempo; merito di Oparin fu quello di mostrarlo sotto una nuova luce, nel contesto delle ipotesi sull'origine della vita. I coacervati (Fig. 4) mostrano interessanti proprietà sia strutturali che funzionali. Sono delimitati da una pseudomembrana bistratificata, sono in grado di attirare certe macromolecole (polipeptidi e polinucleotidi) e di respingerne altre, dimostrano, inoltre, un rudimentale metabolismo. Se si aggiunge glucosio-1-fosfato nel mezzo ambiente di un coacervato, contenente l'enzima fosforilasi, esso assimilerà il composto producendo amido, mentre il fosfato verrà espulso esternamente. Se oltre alla fosforilasi e presente anche un'amilasi, il coacervato sarà in grado non solo di produrre amido, ma anche di idrolizzarlo in segmenti di maltosio (dimero) i quali saranno poi espulsi insieme al fosfato residuo. Altri esperimenti dimostrano che alcuni coacervati, dotati di opportuno corredo biochimico, sono in grado di effettuare una specie di fotosintesi primitiva e possono subire una specie di selezione naturale (ad esempio, i coacervati in grado di operare un metabolismo primitivo sono più stabili di quelli privi di tale capacità).

Analoghe strutture pseudocellulari furono ottenute, alla fine degli anni Settanta, da Sidney Fox. Convinto, al contrario di Oparin, che la probabilità di formazione di macromolecole fosse maggiore sulla terraferma che in acqua, Fox partì da miscele di amminoacidi, che si presupponeva fossero presenti nel brodo primordiale, le pose su pezzi di lava riscaldati a temperature variabili tra i 75 e i 175 °C e ottenne dei proteinoidi, lunghe catene contenenti parecchie centinaia di amminoacidi. Immaginando un'azione di dilavamento delle lave primordiali su cui si fossero formati dei proteinoidi, Fox continuò la sua sperimentazione ponendo gli stessi in acqua. Ottenne in questo modo delle microsfere che chiamò protocellule (Fig. 5). Le microsfere di Fox sono dotate di proprietà molto interessanti: sono delimitate da una membrana semipermeabile, operano movimenti, sono dotate di capacità enzimatiche (sono in grado, ad esempio, di idrolizzare l'ATP e sono capaci di assimilare altri proteinoidi), riescono a produrre al loro interno altre sferule che vengono successivamente espulse, sono in grado di unirsi tra loro e di dividersi. In definitiva, entrambe le ipotesi si basano sul convincimento che, ai fini dello sviluppo della vita, la nascita dell'individualità abbia rappresentato la prima grande conquista.

sfere
Fig. 5. Le microsfere (protocellule) di Fox.

Altri autori pensano che un primitivo metabolismo avrebbe potuto innescarsi anche in strutture non delimitate da membrane, ma su substrati minerali in grado di adsorbire e concentrare molecole organiche. Queste ipotesi costituiscono la base delle cosiddette teorie minerali. Barnal ha osservato che alcune argille che si depositano sui fondali adsorbono proteine ed acidi nucleici meglio dei coacervati; Cairns-Smith ha addirittura suggerito che i primi "sistemi di informazione genetica" fossero rappresentati da argille autoreplicanti. La distribuzione delle cariche elettriche su uno strato avrebbe indotto la formazione di uno strato complementare formato da particelle aventi carica elettrica uguale ed opposta. Tale sistema avrebbe successivamente adsorbito composti carboniosi e dato inizio all'evoluzione biologica.

Alcuni ricercatori pensano che la vita non avrebbe avuto inizio da strutture protocellulari, ma da primitivi ammassi di materiale genetico. Successivamente, questi "geni nudi" avrebbero costruito una struttura protocellulare di protezione del genoma e di sintesi di altro genoma.; in pratica le cellule altro non sarebbero che "macchine create dal DNA per produrre altro DNA". Queste teorie genotipiche, tuttavia, non godono di grosso credito, essendo troppo dispendiosa l'ipotesi di una formazione primitiva di DNA, una macromolecola la cui sintesi e funzionalità è troppo legata alla presenza di proteine.

Uno dei risultati più importanti conseguiti dalla scienza nella soluzione del problema dell'origine della vita si deve a T.R. Cech, premio Nobel per la Chimica nel 1989, che, nei primi anni Ottanta, ha dimostrato che molecole di RNA possono avere attività enzimatica (promuovendo reazioni chimiche autonome, senza l'intervento di enzimi proteici) e sono in grado di compiere una primitiva autoreplicazione usando come stampo una subunità interna. Tali funzioni enzimatiche, peraltro osservabili nell'RNA di organismi viventi attuali, potrebbero essere la testimonianza di un primitivo "mondo a RNA", nel quale tutti gli organismi dovevano essere costituiti solo da RNA e dal quale si sarebbe solo successivamente evoluto il mondo attuale costituito da DNA e proteine, con funzioni rispettivamente genetiche e metaboliche. Come si sarebbe originato l'ipotizzato "mondo a RNA" di Cech? Il chimico tedesco Eigen e successivamente Orgel hanno dimostrato che, in presenza di enzimi proteici, miscele di nucleotidi possono dar luogo a RNA capace di replicarsi (riprodursi), di mutare e di competere con altre molecole di RNA. Secondo questi autori, la vita sulla Terra potrebbe aver avuto origine proprio a partire da popolazioni di molecole di RNA-simili ("quasi specie") i cui individui, capaci di competizione, si sarebbero associati con popolazioni proteiche, dapprima stabilendo con esse un rapporto parassitario, quindi un equilibrio stabile: l'attuale "divisione del lavoro" tra acidi nucleici e proteine!

L'ipotesi di un mondo ancestrale a RNA, sebbene molto affascinante, solleva dubbi sia di tipo chimico che probabilistico. Per quanto riguarda i primi, nessun ricercatore è riuscito sinora a proporre un modello secondo il quale negli oceani e nell'atmosfera primitiva si siano potute formare adeguate quantità di RNA, essendo la sintesi di questo composto troppo laboriosa ed incerta. Il secondo dubbio riguarda la possibilità che molecole di RNA in grado di replicarsi e di competere possano essere state abbastanza stabili, nel tempo, da evolversi successivamente in "organismi" più complessi. L'RNA come precursore dei viventi, quindi, rimane al momento un'ipotesi molto dispendiosa.

Così, se è pur vero che sempre più studiosi pensano che il DNA, come depositario dell'informazione genetica, sia stato preceduto dall'RNA, è forse altrettanto plausibile che forse neppure quest'ultimo ha rappresentato la prima molecola informativa autoreplicante comparsa sulla Terra. Questa primitiva molecola con significato genico avrebbe dovuto possedere tre capacità ed avere a disposizione un ambiente chimico favorevole:
1) capacità di contenere informazione genetica;
2) capacità di indirizzare la propria sintesi a partire da elementi di base (monomeri);
3) capacità di essere più stabile del suo tasso di decomposizione.
Tutto questo avendo larga disponibilità di monomeri nel mezzo ambiente. Se immaginiamo un mondo primordiale RNA-simile, considerando le prerogative e le necessità prima esposte, dobbiamo necessariamente pensare, come ha fatto Joyce, che la nascita dell'autoreplicazione sia stata preceduta da un'evoluzione chimica che ha prodotto profonde alterazioni chimiche ambientali, il che può aver consentito la nascita di una molecola non RNA-simile in grado di favorire la sintesi di una sostanza RNA-simile. In questa fase potrebbero aver svolto un ruolo molto importante gli "organismi" argilla, grazie alle loro capacità di sia di concentrazione delle sostanze che catalitiche. È probabile, tuttavia, che tale sostanza RNA-simile fosse strutturalmente meno esigente, nel processo di sintesi, rispetto al complesso e dispendioso chimismo dell'attuale RNA.

Infine, è perfettamente lecito pensare che il mondo primordiale abbia visto la nascita contemporanea e indipendente di sistemi biologici di tipo strutturale (corpi cellulari) e di sistemi genetici "nudi" (protogenomi), anche se oggi essi appaiono perfettamente integrati all'interno della cellula. A tale proposito è stato osservato che l'eventuale unione tra sistemi di membrana e sistemi genetici avrebbe espresso un elevato valore adattativo potendo, quindi, essere favorita dalla selezione naturale.



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